Associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsioni, detenzione e porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento seguito da incendio ed altro, aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso.
Sono queste le accuse nei riguardi di numerosi affiliati al clan malavitoso “Martorano–Stefanutti” di Potenza, con estensione anche sul territorio di Matera, che ha portato a 38 provvedimenti cautelari, 28 misure di custodia cautelare in carcere, 9 arresti domiciliari e un divieto di dimora nel territorio
L’operazione, che ha inferto un duro colpo alla criminalità organizzata, denominata “Lucania Felix“, coordinata dalla DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) della Procura della Repubblica di Potenza, disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari, è stata eseguita, all’alba di oggi, dalla Squadra Mobile della Polizia di Stato del capoluogo lucano, diretta dal dott. Marco Mastrangelo, con il supporto e la collaborazione dei poliziotti di altri 20 capoluoghi italiani e dei Reparti Prevenzione Crimine di Lazio, Campania, Umbria, Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia.
A collaborare, all’esecuzione di quanto avvenuto, nel corso delle indagini preliminari, sul territorio di Potenza ed in diversi comuni della provincia, di 38 provvedimenti cautelari, oltre a 2 unità cinofile, anche un equipaggio eliportato di Reggio Calabria,
Nel corso del contesto operativo sono stati disposti ed eseguiti, inoltre, 7 provvedimenti di perquisizione domiciliare e personale nei riguardi di altrettanti indagati, dimoranti sul territorio di Potenza e comuni vicini.
L’indagine, frutto di una vasta, capillare e complessa attività svolta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza e dalla locale Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile, attraverso intercettazioni telefoniche e telematiche, pedinamenti tradizionali e a distanza, tracciamenti GPS, acquisizioni documentali, numerosi interrogatori di testimoni e collaboratori di giustizia dissociatisi dai sodalizi mafiosi, lucani, calabresi e siciliani, di rispettiva appartenenza, ha consentito di raccogliere un grave quadro indiziario in merito alla permanenza ed alla continuità operativa del clan potentino, ampiamente riconosciuto dalla ‘ndrangheta calabrese e dai clan mafiosi lucani, siciliani e pugliesi.
Tutti i dettagli sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella mattinata di oggi, al quarto piano del Palazzo di Giustizia del capoluogo lucano, all’interno della sala “Emilio Alessandrini“.
Tra i presenti, il Procuratore della Repubblica Distrettuale, dott. Francesco Curcio, i Sostituti Procuratori, dott.ssa Annagloria Piccinini e dott. Gerardo Salvia, il Direttore Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Prefetto, dott. Francesco Messina, il Direttore “SCO“, dott. Fausto Lamparelli, il Questore di Potenza, dott. Pietro Romeo, il Commissario Capo, dott. Antonio Mennuti e il Capo della Squadra Mobile potentina, dott. Marco Mastrangelo.
Le investigazioni, nel corso delle quali sono stati acquisiti documenti contenenti veri e propri riti di affiliazione, regole, organigrammi e ruoli di vertice delle cosche della ‘ndrangheta, hanno disvelato l’esistenza di solidi legami intrattenuti e consolidati nel corso degli anni dal sodalizio lucano con alcuni dei clan maggiormente accreditati sul territorio nazionale, come quello dei “Pesce–Bellocco” di Rosarno (Rc) e quello dei “Grande Aracri” di Cutro (Kr), con cui è stato intessuto un consistente e duraturo rapporto di collaborazione criminale coltivato negli anni, specie nel settore elettivo dei videogiochi, per il quale la DDA potentina ha già svolto in passato altra indagine.
Altre proiezioni criminose extraterritoriali interessano esponenti sia della mafia siciliana, legati al sodalizio dei “Santapaola” di Catania, sia di sodalizi presenti e operativi in Puglia e Basilicata.
L’indagine ha fatto luce sulla capillare compenetrazione del sodalizio potentino nel tessuto economico ed imprenditoriale cittadino, perseguita anche attraverso il reiterato ricorso ad eclatanti azioni intimidatorie.
La ricostruzione investigativa di oltre quindici anni di azioni delittuose riconducibili a esponenti del sodalizio ha permesso di tracciare, sulla base di indizi ritenuti gravi dal GIP, il solco di un nuovo corso criminale attivo nella città di Potenza, chiaramente mirato a conseguire e consolidare il monopolio su specifici settori, tra cui l’installazione e la gestione di macchinette video-poker ed i servizi di sicurezza e vigilanza all’interno delle discoteche.
Nello spettro strategico-operativo del sodalizio è emersa la spiccata capacità di infiltrarsi nella gestione diretta o indiretta di appalti di opere e servizi pubblici attraverso una fitta rete di contiguità e connivenze insinuatasi persino nelle sfere istituzionali, come nel caso di una sigla sindacale attiva nel comparto sanitario che, anche attraverso il ricorso a metodi impositivi ed intimidatori, ha consentito per lungo tempo una gestione “addomesticata” dei dipendenti di una società, già affidataria dei servizi di pulizia presso l’ospedale “San Carlo” di Potenza, favorendo di fatto il concentrarsi del controllo delle assunzioni e dei licenziamenti proprio nelle mani del sodalizio criminoso, che in tal modo ha guadagnato una forte sfera di influenza e di credito sociale sul territorio.
L’indagine ha inoltre disvelato la regìa comune e condivisa della consorteria potentina con il clan “Grande Aracri” di Cutro anche nell’azione estorsiva perpetrata in danno di un’altra società affidataria di servizi di raccolta e smaltimento rifiuti presso la struttura ospedaliera potentina, azione per la quale è stato già condannato in via definitiva un componente del sodalizio lucano.
Le risultanze investigative hanno restituito il quadro indiziario di una rinnovata stagione criminale snodatasi anche attraverso il ripetersi di azioni intimidatorie condotte secondo stilemi tipicamente mafiosi, evocativi della garanzia di protezione sul territorio e della necessità di assistenza ai detenuti, anche attraverso il ricorso all’uso delle armi, talvolta impiegate anche per regolamenti di conti interni, come nel caso di una pistola sequestrata nell’agosto del 2020 nel contesto di una discussione per crediti di droga.
Proprio le armi e la droga risultano rappresentare un altro settore di preminente interesse del sodalizio, come confermato anche da pregressi arresti eseguiti nel maggio del 2020, a seguito del rinvenimento di due pistole, oltre che di cocaina e marijuana che gli stessi detenevano in un’abitazione rurale alla periferia di Potenza, e da altri arresti e sequestri di stupefacenti, effettuati, in questo anno, proprio a riscontro delle risultanze investigative.
Il redditizio settore della droga ha permesso al clan di movimentare cospicue somme di denaro, destinate in parte anche all’assistenza in favore dei sodali detenuti, secondo il consolidato sistema della cd. “bacinella”, tipico delle associazioni mafiose, ovvero una forma di mutua assistenza anche nei confronti di esponenti detenuti presso il carcere di Melfi dove, oltre a ricevere costante assistenza materiale, si impartivano specifiche direttive verso l’esterno, anche attraverso la consegna di “pizzini”, così, continuando a mantenere il controllo del sodalizio.
Le numerose misure restrittive adottate a conclusione delle indagini, sulla base di grave indizi di colpevolezza, che ovviamente dovranno essere consolidati in fase dibattimentale, rappresentano un ulteriore tassello della complessiva azione di contrasto alla criminalità organizzata mafiosa lucana, specie delle province di Potenza e Matera.
Queste sono le persone finite in carcere:
M.R., S.D.R., L.D., P.G., P.G., P.S., Q.G., R.S.F., S.S., S.M., S.N., B.R.,
B.R., B.M., C.L., C.D., G.E., L.E.M., L.P.U., M.A., N.M., O.F., P.L., S.V., T.G., T.C. e V.G.
Agli arresti domiciliari:
S.A., S.M., D.L.R., D.A.E., C.P., D.G.M., R.F.M., C.L. e S.F.
Al divieto di dimora nel territorio della provincia di Potenza:
T.G.D.
Rocco Becce