I Lucani sono stati descritti da studiosi e viandanti che ne hanno attraversato le lande desolate delle valli incastrate tra fossi rinsecchiti e dune argillose e calanchive. Sovente venivano associati ad animali domestici che rappresentavano la famiglia al pari degli altri componenti del foglio di famiglia; dal mulo, quando si era benestanti, all’asino, al maiale, alla capra e, spesso, ad un nugolo di galline. Ancora oggi, scorrazzando per sale e musei che espongono foto in bianco nero di donne nerovestite ai lati del focolare sotto la stesa di salumi e formaggi appesi al soffitto al pari della culla dondolante degli infanti, qualcuno accenna alla salutare vita di contadini; come dire: ignoranti e bifolchi sì, ma pieni di salute.
Oggi, però, i Lucani incominciano a raccontarsi. Si descrivono come sono e cosa sono stati; non solo disperazione, fatica e terra arida da raschiare per poterle affidare semi nella speranza che restituiscano frutti per la sussistenza della famiglia.
La Lucania ha avuto tanti talenti. Venosa è la patria di Orazio, Tursi paese di Albino Pierro, Tricarico paese di Rocco Scotellaro e tanti e tanti altri ancora. Poi ci sono i talenti latenti che sono fonte di orgoglio nei piccoli paesi, che meritano di essere ricordati e portati ad esempio. È il caso di Corleto Perticara, che oltre ad essere il paese di Carmine Senise, Pietro Lacava e collegio elettorale della prima elezione al Parlamento di Giuseppe Garibaldi è il paese di Rocco Rossetti, detto Rocch a “Tosch’k”. Un imbianchino e operaio saltuario dell’edilizia che coltivava la passione per la musica, al punto da essere l’unico possessore, negli anni settanta, di un’arpa portativa (L’arpcedd). Strumento tanto nobile quanto complicato. Un bravissimo musicista che suonava “l’arpcedd” come la suonavano i reietti emigrati nelle Americhe e nella City, quando giravano per raccogliere qualche scellino che consentisse di sbarcare il lunario a tutta la famiglia. La riscoperta di questo strumento bellissimo, dal suono celestiale ha fatto emergere la figura di un umile imbianchino che sapeva farsi catturare dalla bellezza dell’arpa. Non aveva velleità di diventare famoso, era animato dalla passione e dalla nobiltà d’animo. Il suo soprannome deriva da un episodio che ci porta a San Remo del 1980, quando davanti al Cineteatro Ariston, non potendo entrare per assistere alla kermesse canora, allietò il pubblico che sostava in attesa di entrare, suonando la TOSCA con il suo organetto ad otto bassi.
Si registra oggi, dicevo sopra, un fermento culturale che anima alcuni centri Lucani nella direzione di valorizzare figure anonime e purtuttavia meritevoli di essere ricordate. Rocco Rossetti, viene celebrato come il “milite ignoto”, ha osservato il Filosofo e Storico, Rocco Gerardi. E qui, sorridendo con gusto, ho immaginato il Presidente della Pro-Loco Corletana, Antony Gallo, girare per i vicoli del paese alla ricerca di un luogo degno per ricordare la semplice ed al contempo importante figura di un musicista che ha tenuto vivo uno strumento oggi tanto rivalorizzato; ed in questo girovagare è inciampato, pochi metri dopo il portone d’ingresso del palazzo di Carmine Senise, davanti all’umile ingresso della casa dove mestamente è vissuto l’inconsapevole illustre suonatore di Arpa. Così, come Maria Bergamas per il milite ignoto, Antony Gallo ha fatto sì che, dopo una cerimonia che ha coinvolto arpisti ed attori, oltre a tanti intellettuali che hanno raccontato aneddoti sull’imbianchino suonatore d’arpa, la facciata dell’umile dimora di Rocco Rossetti è stata arricchita con una lapide che ne ricorda la figura con queste parole: “In questa piccola casa Rocco Rossetti trascorse la sua vita semplice e da questa finestrella regalava alla gente del suo quartiere le gentili note delle sue tenere e dolci canzoni. “Rocco, imbianchino e maestro muratore di fisarmonica ed arpe suonatore”. L’umiltà, dunque, non sta solo nell’avere una casa condivisa con animali da cortile, ma anche nel saper svolgere attività nobili per le quali qualcuno, altrettanto nobile, in futuro si ricorderà di rendere omaggio; e la Lucania è piena di storia che non è solo di muli e maiali che dormivano sotto la branda, ma fatta di molta gente tanto umile quanto importante e che aspettano solo di essere scoperte e valorizzate nel ricordo per le gesta che li hanno caratterizzati. A Corleto hanno iniziato, che inizi l’intero popolo Lucano a valorizzarsi superando la narrazione della miseria non più come debolezza ma come elemento di genuinità che ha dato natali a tanti, tantissimi personaggi illustri. E questa terra che “apre le sue lande al pellegrino che si affaccia ai suoi valichi … o fa il cammino delle pecore […] non sarà più vergogna d’Italia, terra di briganti o camminamenti definiti “leviani”. Ma terra di gente laboriosa, tenace ed orgogliosa delle proprie radici, pur sapendo che i nonni dormivano insieme al mulo ed al maiale.
Gianfranco Massaro – Agos