La cattiva reputazione dell’olio di palma è dovuta alla distruzione delle foreste tropicali in Indonesia e all’elevata percentuale di grassi saturi il cui eccesso può essere dannoso per la salute. Non la pensa così Elena Fattore, ricercatrice del Dipartimento ambiente e salute dell’Istituto Mario Negri di Milano, che nella pubblicità della Ferrero apparsa pochi giorni fa su Corriere.it sostiene «In nessuno degli studi recenti è stata confermata una relazione causale fra consumo di acidi grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari. La campagna denigratoria sull’olio di palma, basata sul fatto che questo olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri oli vegetali, non ha quindi alcun riscontro nell’evidenza scientifica».
Pur avendo grande rispetto per il Mario Negri, questa volta Elena Fattore si sbaglia. Esistono studi, anche molto recenti pubblicati su riviste scientifiche di alto livello, che associano il consumo di grassi saturi a un aumento della mortalità. Vogliamo citare un articolo, pubblicato nel 2016 su Jama, che associa il consumo di questi grassi con un aumento della mortalità in generale e un modesto aumento della mortalità per cancro, tuttavia lo studio non riesce a collegare saturi e malattie cardiovascolari. Una possibile spiegazione, secondo gli scienziati, è nella dieta occidentale ricca anche di zuccheri semplici che “mascherano” l’effetto dei grassi saturi sulla mortalità da malattie cardiovascolari. Per la cronaca gli autori sono ricercatori esperti di nutrizione come Walter C. Willet, con una rilevanza internazionale di un paio di ordini di grandezza rispetto a Elena Fattore. Anche se non si è ancora riusciti a dimostrare un nesso di causalità, una delle prove (indirette) a sostegno del rapporto tra saturi e malattie cardiovascolari, è rappresentata dall’effetto protettivo che ha la sostituzione dei saturi con i polinsaturi su cuore e apparato vascolare. Nello studio si legge che “sostituire il 5% dell’energia da grassi saturi con l’equivalente energetico in polinsaturi e monoinsaturi era associato a una riduzione stimata della mortalità totale del 27% e del 13%, rispettivamente” (*).
È vero che nel mondo scientifico esiste un dibattito sul ruolo degli acidi grassi saturi nello sviluppo di malattie croniche, ma questo non giustifica le dichiarazioni di Elena Fattore, focalizzate solo su uno dei possibili effetti dei saturi, ignorando gli altri campi di indagine. Lo studio dell’olio di palma della Fattore è stato infatti criticato da altri ricercatori, che lo considerano “limitato metodologicamente”. Mentre l’analisi del Mario Negri prende in considerazione indiscriminatamente l’olio tropicale raffinato, quello vergine (di colore rosso) e quello del seme (palmisto), lo studio asiatico si è concentrato esclusivamente sul palma raffinato usato dall’industria alimentare europea. Gli autori affermano che il grasso tropicale, per via dell’elevato tenore in saturi, aumenta il colesterolo “cattivo” (LDL) nel sangue, al contrario degli oli vegetali a basso contenuto di saturi.
In ogni caso, è lecito chiedersi perché Ferrero dimentichi di dire che Elena Fattore, quando parla di olio di palma e grassi saturi ha un conflitto di interesse. La ricercatrice dichiara di avere ricevuto dalla società finanziamenti per lo studio che ha realizzato sull’olio tropicale. Un secondo finanziamento è arrivato alla Fattore nei 3 anni precedenti, firmato da Aidepi (associazione di categoria che raggruppa il 90% delle aziende che usavano fino a pochi mesi fa il palma nelle ricette dei prodotti e che ha investito milioni nella campagna a favore dell’olio tropicale).
Ma le perplessità non sono finite. Il testo della pubblicità riprende una frase di un documento dell’Istituto Superiore di Sanità : “la letteratura scientifica non riporta l’esistenza di componenti specifiche dell’olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute”. Questa citazione è un elemento di grave scorrettezza, perché l’Istituto Superiore di Sanità ha chiesto alla Ferrero di non utilizzare frasi del documento sull’olio di palma, estrapolate dal contesto generale, per non trasfigurare il contenuto del dossier. Un analogo richiamo era stato rivolto ufficialmente alla RSPO, quando ha usato in modo strumentale e scorretto parti del documento dell’Istituto Superiore di Sanità, per assolvere l’olio tropicale dalle accuse di essere consumato in eccesso e di rappresentare un rischio per i bambini.
Nel documento dell’ISS si sottolinea come la quantità di grassi saturi assunta dai bambini di età compresa tra i 3 e i 10 anni, sia decisamente superiore al limite del 10% raccomandato. Per gli esperti, si stima che i bimbi italiani consumino in media ben 27,88 g di saturi al giorno, pari a oltre il 14% delle calorie giornaliere. Si tratta cioè del 49% in più di quanto raccomandato, come abbiamo già scritto in un articolo su IlFatto Alimentare. Secondo l’Istituto superiore di sanità il 30% di questi 27,88 g provengono da alimenti che contengono potenzialmente olio di palma: biscotti, merendine, patatine, snack e così via.
Conferma questi concetti la dichiarazione rilasciata da Umberto Agrimi responsabile della ricerca dell’Istituto superiore di sanità al programma televisivo Ballarò, nel mese di marzo 2016. Secondo l’esperto, mentre l’apporto di saturi nell’adulto supera in media di poco la soglia del 10%, la situazione dei bambini è più critica, perché il consumo di acidi grassi saturi oscilla tra l’11 e il 18%. «In questo superamento – spiega Agrimi – il 70% è dovuto a carne, uova, latte, latticini, cioè alimenti che naturalmente contengono acidi grassi saturi. Per il 30% invece contribuiscono alimenti che hanno acidi grassi aggiunti, tra cui anche l’olio di palma».
Come abbiamo già scritto, non potendo eliminare i grassi saturi da: carne, formaggio, uova, latte… basterebbe sostituire il palma presente nei prodotti forno e negli alimenti confezionati con olio di mais, girasole o colza per ridurre notevolmente il superamento dei valori guida denunciato da Agrimi. Cosa che stanno facendo la maggior parte delle industrie italiane.
Per restare nell’ambito scientifico riportiamo una dichiarazione sul tema dei grassi saturi che Francesco Branca direttore del Dipartimento della nutrizione dell’OMS ha rilasciato pochi giorni fa in un’intervista a Il Fatto Alimentare, annunciando l’uscita imminente di un documento . «Ho visto che molte aziende stanno togliendo l’olio di palma in Italia. Penso che sia un fattore positivo, qualora sia sostituito con oli vegetali con un minore apporto di saturi. L’analisi aggiornata delle evidenze scientifiche conferma la raccomandazione dell’OMS di ridurre i grassi saturi nella dieta».
Queste precisazioni puntualizzano il pensiero della comunità scientifica sul tema degli acidi grassi saturi, che qualcuno cerca di addomesticare e modificare in modo fantasioso per fini puramente commerciali.
P.S. Aggiornamento. Il 29 novembre il sito del Corriere della sera pubblica in prima pagina un articolo (vedi a lato) dal titolo “Maxi studio USA conferma: i grassi saturi fanno male , sale rischio d’infarto”. La nota di Laura Cuppini riprende uno studio effettuato su 73 mila donne e 42 mila uomini da cui si evince che “Analizzando le abitudini alimentari dei partecipanti (sani, senza malattie croniche) e valutando eventuali altri fattori di rischio (abitudine al fumo e all’alcol, attività fisica, uso frequente di farmaci), hanno concluso che l’assunzione di acidi grassi saturi è correlata a un aumento del rischio cardiovascolare, in particolare di infarto miocardico e ischemia coronarica (occlusione o restringimento delle arterie che portano sangue al cuore)”. Si tratta di un’ulteriore conferma di quanto le tesi sugli acidi grassi di Elena Fattore siano quanto meno scorrette.
FONTE ILFATTOALIMENTARE.IT