In principio fu Roma. Correva l’anno 2010, quando fu istituita nella capitale per ripianare il deficit comunale (Decreto Legge 78 del 2010). Fu poi reintrodotta strutturalmente per tutti i Comuni dal Governo Berlusconi, con il decreto legislativo sul fisco municipale, in attuazione del federalismo fiscale (DLGS 23 del 2011, lo stesso che istituiva l’IMU). Parliamo dell’imposta di soggiorno e dell’ imposta di sbarco, un’imposta facoltativa di carattere locale applicata a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive situate in località turistiche o città d’arte.
In Basilicata sono 4 i Comuni (Matera, Nova Siri, Bernalda-Metaponto, Maratea) che applicano l’imposta di soggiorno, introdotta con legge regionale n. 19 del 1999 che recepisce il decreto Bersani, su 22 Comuni che hanno la possibilità di applicarla, nonostante i comuni classificati ufficialmente come turistici siano 16.
Ma come funziona? L’imposta di soggiorno, da istituirsi con Regolamento Comunale approvato dal Consiglio, può essere applicata da un minimo di 10 centesimi a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno (fa eccezione Roma dove l’imposta può arrivare a 10 euro per notte); mentre la tariffa per la tassa di sbarco sulle isole minori è di 1,50 euro a persona. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, di manutenzione, fruizione e recupero di beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali. Le modalità di applicazione sono diverse e vanno dal versamento di un importo fisso a un importo variabile, a seconda delle “stelle” della struttura. La stragrande maggioranza dei comuni ha scelto di diversificare le tariffe in basse alle “stelle” attribuite alle strutture. Si paga per una o più notti in albergo, ma non solo, infatti anche i campeggi, i bed and breakfast, gli agriturismi, sono toccati dall’imposta.
Se nel 2011, anno di esordio di tale imposta prevista dal Decreto sul federalismo municipale, i comuni che avevano optato per l’imposta si contavano sulle “dita di una mano” (Venezia, Roma, Firenze, Catania, Padova, Vieste, Villasimius e pochi altri), ad oggi, secondo il Servizio Politiche Territoriali della UIL sono 649 i Comuni che applicano l’imposta di soggiorno, sostanzialmente gli stessi comuni del 2015 in quanto, per quest’anno, anche questa imposta è soggetta al blocco degli aumenti decisi a livello nazionale con la Legge di stabilità.
In sostanza, si tratta di un’imposta che nel 2016 ha generato un gettito per le casse dei comuni di oltre 437 milioni di euro, in aumento dell’1,4% rispetto al 2015, quando i comuni incassarono 431 milioni di euro.
In linea generale – sottolinea la UIL – non siamo contrari a priori a questa imposta: piuttosto che aumentare altre tasse meglio ricorrere a questa leva fiscale, purchè essa sia propedeutica a disegnare un fisco locale più equo. Tra l’altro, con questa imposta, che si prefigura come tassa di scopo, si potrebbe creare soprattutto nelle località ad alto impatto turistico quel circolo “virtuoso” in grado di mettere in moto l’occupazione locale attraverso investimenti nelle opere infrastrutturali turistiche finalizzate alla valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico.
A tal riguardo, si pone anche il tema della trasparenza, in quanto non tutti i comuni pubblicano sul proprio sito l’elenco degli interventi finanziati con l’imposta di soggiorno, come prescrive la Legge.