di Michela Castelluccio
Non basta dire baby-gang per pensare ad una delle scenografie più allarmanti degli ultimi tempi; solito gergo ‘oltreoceano’, ac-cattivante, veloce e facilmente masticabile, ma di bassa lega, che poco ha a che fare con il fenomeno in sé. Una società sempre più light, che paradossalmente dilata le informazioni ma riduce i contenuti, striminzisce le parole, a fronte di eventi seri che vanno approfonditi e vanno pensati al di fuori delle (chiamiamole) bizzarrie da talk show e senza necessariamente ricorrere ad analisi psicologiche e/o sociologiche. Forse, possiamo trovare un buon punto di partenza dall’ottima qualificazione spiegata dal Ministro degli Interni, Marco Minniti, il quale parla di “violenza nichilistica dalle modalità terroristiche, poiché colpisce in modo casuale”. L’atto di violenza, da esperienza limite si ridisegna, diventa esperienza quotidiana, ripetuta: essa si fa abitudine, in modalità rewind, con in grembo la necessaria curiosità da gossip, sorella altrettanto decadente della cieca indifferenza. L’impressione, così ad occhio nudo, è che si si sia trovato il modo di mettere in moto il deserto; perché ora si vede il deserto camminare, parafrasando un bel brano del gruppo indie toscano “Proiettili buoni”. Al di là delle ormai trite e ritrite spiegazioni sociologiche, le poco consone interviste ai Gomorriani – regista incluso – e il ricorso alla intellectual-star Roberto Saviano, deus ex machina-tanto-amato-da-MariaDeFilippi, non è difficile capire che dietro alla violenza non c’è il figlio del boss, di stirpe criminale, ma quella chiamata impropriamente ‘normalità’, ossia figli di famiglie borghesi. Il seme della violenza immotivata proviene da una gioventù che si veste di solitudine: ecco l’abito che possono permettersi tutte le classi sociali, da quella più bassa a quella «In». Sentirsi soli è il peccato mortale della società contemporanea, a risolvere il quale non basta una voce meccanica; se poi la solitudine è affiancata dal vuoto della noia, si aziona la volontà di nuocere all’altro tanto per divertirsi un po’, nell’errore di scambiare il gesto per bravata. Oltre la baby-gang, dunque, c’è solo un nucleo di giovanissimi da appassionare e responsabilizzare verso loro stessi e nell’incontro con l’altro, con atteggiamenti mentali positivi, ossia senza alcuna forza morente.