In Basilicata, tempi duri per chi non rispetta le leggi e in questo caso l’ambiente.
All’esito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica, presso il Tribunale di Potenza e delegate ai Carabinieri del N.O.E. (Nucleo Operativo Ecologico) del capoluogo lucano è stata data esecuzione nella mattinata di oggi, giovedì 19 luglio, ad un’ordinanza emessa dai Giudice per le Indagini Preliminari.
È stato disposta nei confronti di Luca Alifano, nato ad Avellino il 13 giugno 1967, amministratore delegato di “Rendina Ambiente S.r.l.”, la misura del divieto di dimora nella Regione Basilicata ed il sequestro preventivo degli impianti di messa in sicurezza e bonifica dello stabilimento industriale “Rendina Ambiente S.r.l.” di San Nicola di Melfi, per il delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p.
Le indagini riguardano il termodistruttore e rifiuti speciali pericolosi e non, ex “Fenice” attualmente gestito dalla società “Rendina Ambiente”, ubicato nel più importante polo industriale della regione Basilicata, quello di San Nicola di Melfi, in provincia di Potenza.
L’impianto di smaltimento tramite incenerimento ex “Fenice” è interessato da una diffusa e storica contaminazione delle falde acquifere sotterranee da inquinanti quali nichel, mercurio, fluoruri, nitriti, tricloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene, bromodiclorometano e dibromoclorometano, pericolosi e cancerogeni.
Nell’attuale procedimento penale risulta indagato Luca Alifano, quale amministratore delegato della “Rendina Ambiente S.r.l.” per il delitto previsto e punito dagli artt. 40, comma 2, c.p., art. 452 bis c.p., nonchè ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, “Rendina Ambiente S.r.l.” con sede legale in Piemonte, a Rivoli, in provincia di Torino, in via Acqui 86, nella persona di Luca Alifano, quale amministratore delegato e legale rappresentante.
“All’indagato – come informa in una nota stampa inviata in redazione dal Procuratore Capo della Repubblica, dott. Francesco Curcio – viene contestato, sulla base delle indagini svolte dal NOE e di una consulenza tecnica collegiale, il delitto di inquinamento ambientale per non aver provveduto alla bonifica del sito inquinato”.
In particolare, questo, per aver omesso di predisporre un modello concettuale di bonifica adeguato.che tenesse conto che le misure di messa in sicurezza adottate si erano rivelate inefficaci, in quanto vi è stata la diffusione di inquinanti all’esterno del sito di “Fenice Ambiente” nelle aree circostanti, nonchè la contaminazione dell’acqua industriale e dell’acqua destinata al consumo umano concorrendo in tal modo a determinare la grave compromissione della matrice ambientale acque sotterranee nelle aree circostanti il sito di “Rendina Ambiente” e la compromissione delle acque potabili, con grave pericolo per la salute pubblica.
Tale condotta omissiva ha determinato il protrarsi della compromissione del bene ambientale già accertata nell’anno 2009 e un ulteriore aggravamento della stessa, come risultato dalle analisi acquisite.
All’impianto vengono conferite le seguenti tipologie di rifiuto urbano speciali assimilabili agli urbani solidi non recuperabili e rifiuti speciali di origine industriale pericolosi e non, ed è costituto dalle seguenti due linee principali di trattamento rifiuti, complete di sistema di trattamento fumi, forno a griglia per i rifiuti solidi assimilabili agli urbani e forno rotante per i rifiuti speciali.
Il recupero dell’energia avviene con due caldaie a recupero ed una turbina a vapore.
In merito a questo sequestro, interviene con una nota il “Comitato Diritto alla Salute” che dice: “È stato sequestrato l’impianto per la mancata bonifica. Dal 2009, senza soluzione di continuità, l’inceneritore inquina le falde acquifere. Basta dare un’occhiata ai monitoraggi bimestrali pubblicati, con i soliti tempi biblici, sul sito dell’ARPAB. A quanto pare solo la magistratura e i Carabinieri del N.O.E. si sono accorti dello scempio che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio di San Nicola di Melfi. Lo abbiamo urlato in ogni modo ed in ogni sede, ma senza alcun effetto e ci siamo opposti allo sciagurato rilascio dell’AIA nel 2014, ma la giunta regionale si era illusa che con essa avrebbe controllato l’operato dell’impianto. Ci siamo opposti all’approvazione di un piano di bonifica “sperimentale” che a distanza di un anno e mezzo ha prodotto solo dubbi, perplessità e la tragica conferma che non esistono “controllori” capaci di verificare l’operato di chi gestisce l’inceneritore. Abbiamo denunciato l’emissione anomala di fumo rossastro dai camini senza avere alcuna spiegazione plausibile, anzi, l’episodio si è ripetuto. I dipendenti dell’impianto in questi anni hanno denunciato più volte davanti a 3 (tre) Prefetti diversi, i problemi di sicurezza interna, ma neanche questo è bastato a convincere la Regione a sospedere l’AIA o a prendere provvedimenti efficaci. Vogliamo parlare del controllore? L’ARPAB che ancora oggi è sprovvista di laboratori attrezzati per analizzare le diossine, che non ci risulta aver verificato il rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA, che pubblica i monitoraggi bimestrali con un ritardo “imbarazzante”. Poi c’è la silente e colpevole ASP: non una parola sugli effetti dell’inquinamento delle falde acquifere sul ciclo alimentare. Mai avviata una indagine epidemiologica nella zona. E del divieto di emungimento dei pozzi a valle dell’inceneritore? Chi si preoccupa di farlo rispettare? Siamo sicuri che nessun agricoltore utilizzi quell’acqua? E’ vero, l’inceneritore è stato posto sotto sequestro e forse la Magistratura – sostituendosi a chi dovrebbe fare il proprio lavoro di vigilanza e controllo – potrà darci qualche certezza. Per noi cittadini è comunque una sconfitta: anni in cui si è perso tempo prezioso lasciando che il territorio di San Nicola di Melfi venisse ulteriormente inquinato e compromesso”.
Rocco Becce