Lei è Alessandra Pisano, un’artigiana locale che ha ideato una tecnica con la quale realizza quadri delle sue creazioni digitali.
-Quali parole sceglieresti per raccontarti?
In realtà non so bene come definirmi dato che non fotografo, non dipingo, non disegno e non scolpisco. Non ho studiato e non mi sono specializzata in qualcosa di particolare nel settore artistico. Sono una donna semplice, una mamma che vive la sua quotidianità, una creativa, un’artigiana.
-Quali sono le linee guida che caratterizzano i tuoi lavori?
Ho ideato questa tecnica mista alla quale non riesco a dare un nome. Il fatto che sia anonima per me è importante perché questo anonimato mi rappresenta, definisce in qualche modo la mia rinuncia ad appartenere a qualcosa, è ormai per me uno stile di vita, un percorso solitario che conferma ad ogni passo il mio concetto d’amore per la vita che va goduta in maniera spoglia e autentica e che non necessita di etichette, riconoscimenti, compromessi. L’appartenenza a qualcosa di già esistente e consolidato certamente rassicura ma limita, tuffarsi nell’incertezza è un modo veloce di ricerca di se stessi. Io mi sento libera dal dover essere qualcuno e questa passione mi ha aiutata a compiere un salto oltre ai limiti che mi ero autoimposta.
-Come è successo che mediante la tua arte tu ti sia liberata?
È successo che ero disperata. Avevo scelto situazioni che mi imprigionavano, forse inconsapevolmente per costruire un cunicolo dal quale pian piano poi far emergere la vera me. Ero sola e spacciata e per non pensare ho creato il primo di una lunga serie di quadri, che raffigura un momento felice di me ed il mio compagno di allora, collocati insieme in un contesto surreale, suddiviso su due tavolette di legno. Forse il presagio di un’imminente separazione.
-In sintesi i tuoi quadri sono anche un modo per esteriorizzare la tua interiorità?
Si, ho la sensazione, attraverso la creazione, di poter esprimere e metabolizzare ciò che sento e di poter in qualche modo anche manipolare la realtà circostante. Quello fu il primissimo lavoro prima del ritratto che raffigura il mio terzo figlio, alla quale nascita devo la mia metamorfosi completata.
-Hai accennato prima a questa tecnica particolare. Possiamo addentrarci nei i particolari?
Certo, anche se è un procedimento complicato da trattare come fosse una materia. Il ritratto digitale in rilievo è frutto del matrimonio tra antico e moderno, l’ibrido tra manuale e digitale. Fotografia, manipolazione d’immagine e scultura sono mixate insieme in una tecnica artistica, opera del mio ingegno, che rende realistico e tridimensionale il ritratto. Mi spiego meglio: in un momento storico in cui la fotografia alla portata di tutti produce infiniti scatti da mettere in mostra sui social e destinati ad essere poi archiviati e dimenticati, ho ideato un metodo per materializzare un ritratto ‘dipinto’ digitalmente. Partendo da una fotografia, mediante la manipolazione d’immagine, ricreo un contesto surreale che viene riprodotto poi su telaio o altri supporti e rifinito, a mano in ogni suo dettaglio, da uno strato finale di resina applicata in altorilievo che rende il risultato finale tridimensionale e sorprendentemente realistico. I miei lavori sono una sorta di scultura, ispirati sempre da un ricordo, da un istante di vita, mio o altrui, sono un momento emozionante immortalato ed enfatizzato.
-Cosa cerchi di ottenere mediante i tuoi lavori?
Beh, il mio scopo è quello di focalizzare l’attenzione sul lato ‘fantastico’ delle cose, uno smisurato bisogno di equilibrare questo mondo così dualmente meraviglioso e malvagio. Un lavoro inverso rispetto a quello della fotografia che opera verso la descrizione perfetta della realtà. Tutta la realizzazione, nel suo insieme, è un atto meditativo che mi porta in una dimensione surreale nella quale non provo preoccupazioni riguardo alle difficoltà della vita, questo è ciò che di più importante ottengo. Quando ne ho il tempo cerco di immortalare, in qualche opera per me stessa, il modo in cui vedo una determinata realtà che mi trovo a vivere. Ciò che cattura maggiormente la mia attenzione è il divino che c’è in ogni cosa. Due esempi sono: KIMera, la brigantessa guerriera che rappresenta il concetto utopico di progresso che abbracci l’etica ecologica, e Savage Aeon, l’Eone Vivo che mostra i suoi mille volti tra le rocce dei nostri monti, il guardiano di questa terra.
-Parlaci di queste opere
Kimera è stata una sfida intrigante, sia perchè ho menzionato il tema dell’estrazione petrolifera, seppur astenendomi dal giudizio, argomento controverso per il mio paese, sia perchè ho studiato molto per realizzare un’immagine che esprimesse il bisogno quasi ossessivo di vegliare su quel paesaggio a noi viggianesi così caro.
Passeggiando tra le pareti rocciose del Monte Alpi a Castelsaraceno, invece, fui rapita dall’imponenza dell’immagine che mi trovai ad osservare e decisi di immortalare il messaggio canalizzato attraverso me: è la natura stessa l’artista, la padrona indiscussa della nostra vita sulla terra, con le sue regole e i suoi equilibri, che mostra a chi sa osservare, attimi di verità assoluta e pura bellezza. Mi piace fissarli nel modo in cui li vedo e vivo. E loro, le mille facce dell’Eone guardiano, con quelle molteplici espressioni, sono lì per avvisarci del male che stiamo affliggendo alla nostra meravigliosa terra.
-Puoi spiegare la scelta del tuo nome?
apArt non è soltanto l’acronimo del mio nome Alessandra Pisano Art. I miei primi quadri li ho firmati per intero finché un giorno ho realizzato ‘apArt’ che rappresenta in modo ironico una me capricciosa comodamente seduta sul mondo, da sola in tutto l’Universo Una presa di coscienza sincronicamente descritta dal titolo di quest’opera che in inglese significa ‘ad una certa distanza, a parte, separata’. Un quadro mai mostrato, nato dall’esigenza di emergere più convinta di dover creare a prescindere dal risultato. Da lì è nato poi il mio nome attuale.
-Hai progetti per il futuro?
Non ho programmi precisi, per mancanza di tempo non partecipo ad eventi o mostre. Le continue richieste lasciano poco spazio alla vera ‘padrona’: la natura. Il mio desiderio è quello di lasciarmi ispirare da lei. Durante le mie passeggiate vedo cose sconvolgenti che desidero immortalare. Non mi interessa vendere i miei lavori, io desidero solo vederli finiti e poterli toccare, poter così portare nella realtà tridimensionale un pezzetto della mia adorata Madre.
-Quali sono le difficoltà che devi affrontare maggiormente in questo percorso?
Mettere da parte l’avanzamento ed il perfezionamento della tecnica stessa, perché mi capita di lavorare a fotografie sfocate, inadeguate. In un primo momento la cosa mi disturba perché so che il risultato finale non corrisponderà a ciò che desidero raggiungere. Poi ricordo quanto è bello essere in grado di rendere speciale il prezioso attimo che qualcuno mi ha affidato, tengo a mente che in quegli scatti sono racchiuse emozioni che per chi le ha scelte sono fissate nella memoria e nel tempo, ricordo che il valore di un istante va oltre ogni canone di perfezione e di giudizio, e sono felice di avere l’opportunità di conservare nel tempo tanti piccoli momenti di gioia e, mediante questa mia passione, di poter ricordare ciò finche occhi, mani e cuore saranno in grado di lavorare insieme.
Nicola Signoretti