Tasse e cittadini

Omesso versamento delle ritenute previdenziali: il termine per sanare si allunga a 2 anni

Nell’attuale quadro normativo,  il datore di lavoro che non versa all’Inps le ritenute previdenziali e assistenziali trattenute nella busta paga del lavoratore dipendente, è soggetto ad una sanzione amministrativa o ad una sanzione penale, a seconda che l’importo non versato sia inferiore o superiore ad € 10.000.
E’ cosa nota, infatti, che il costo complessivo della contribuzione dovuta dal datore comprende sia la quota a suo carico e sia la quota di competenza del dipendente, anche se nella prassi operativa è previsto che il primo, nella sua qualità di sostituto d’imposta, sia responsabile anche del versamento degli importi spettanti al lavoratore.
Non a caso, infatti, egli è autorizzato a decurtare la retribuzione netta del dipendente di quella somma che quest’ultimo deve all’Inps, ed allo stesso tempo è obbligato a versarla in nome e per conto dello stesso.
Laddove ciò non accada, il datore di lavoro si vedrà recapitato un avviso di accertamento dal valore di diffida, con contestuale irrogazione della sanzione (amministrativa o penale) subordinata al mancato pagamento delle somme nel termine di 90 giorni dalla notifica dell’invito a regolarizzare.

L’attuale disciplina prevede, infatti, che se l’importo delle ritenute omesse sia inferiore o pari ad € 10.000, la sanzione amministrativa irrogabile (ricordiamolo, in caso di mancato versamento delle somme anche a seguito della  notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Inps), debba essere compresa fra un minimo di € 10.000 ed un massimo di € 50.000.
Ciò, si badi bene, a prescindere che le somme trattenute e non corrisposte all’ente previdenziale siano pari ad € 150,00 piuttosto che ad € 9.999,00.
Nel caso in cui, invece, l’importo delle ritenute omesse superi la cifra di € 10.000, il datore di lavoro sarà assoggettabile alla pena della reclusione fino a 3 anni.
Il punto fondamentale nel panorama appena esposto è rappresentato, a parere di chi scrive, dalla possibilità concessa a colui che ha incorso nella violazione di rimediare alla stessa pagando, (fino ad oggi) nel termine di 90 giorni dalla notifica dell’accertamento dell’Inps, le somme che avrebbe dovuto pagare nel momento in cui è sorta l’obbligazione.

Sicuramente da apprezzare l’intento del Legislatore, anche se da più parti si è sempre contestata l’esiguità del tempo a disposizione (90 giorni dalla notifica dell’accertamento della violazione) del datore di lavoro per ottemperare all’invito a regolarizzare la propria posizione.
Ed è proprio in quest’ottica che si colloca l’emendamento inserito nella legge di conversione del D.L. Semplificazioni, approvato pochi giorni fa al Senato, che  “estende da 3 a 24 mesi il termine entro cui l’omissione contributiva può essere sanata con il versamento delle somme dovute.”.
Termine che decorre dalla data di  notifica dell’accertamento con cui si constata, appunto, l’avvenuta violazione dell’art. 2, comma 1bis, del Decreto legge 12 settembre 1983, convertito dalla Legge 11 novembre 1983, n. 638 (Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali).
Resta ancora da definire il perimetro temporale delle contestazioni che potranno rientrare nella nuova normativa, in riferimento al quale si rimanda all’ufficialità del testo definitivo di conversione del D.L. Semplificazioni.

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