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La rivolta del grano, il tumulto che l’11 luglio 1920 scosse la Basilicata, la memoria dopo l’oblio.

L’epilogo cruento della protesta delL’11 Luglio 1920 a Corleto Perticara è stato custodito “nell’oblio della vergogna di ricordare” (Il sole 24Ore – Jacopo Giliberto). È la storia di una rivolta dei contadini contro uno stato esoso ed esigente, che nel primo dopoguerra dovette affrontare non poche situazioni di degrado che videro il popolo sollevarsi per protestare contro leggi che oggi chiameremmo di Austerity.  Piccolo chiarimento, per gli storici le rivolte sono grandi sollevazioni che vedono in campo ceti che non hanno molto in comune ma che combattono il potere pubblico. Il tumulto, invece, è la manifestazione clamorosa, disordinata e violenta, di una massa o di un gruppo più o meno numeroso di persone, come azione e reazione intesa a protestare o a ottenere determinati cambiamenti e provvedimenti.

Ma veniamo a Corleto Perticara ed al 6 luglio 2019, giorno in cui si è avuto modo di riappropriarsi di quei fatti storici e di parlarne in vista del centenario che cade l’undici luglio 2020.

È la storia di una sollevazione popolare contro la requisizione del grano e che sfociò in un triplice omicidio; quello della piccolissima Donata Maria Vicino, colpita da un proiettile partito dalla pistola d’ordinanza di un carabiniere, quello di un ufficiale dell’esercito, Sottotenente Luigi Cucuraghi e del maresciallo della stazione dei carabinieri, Matteo Salvo. I due militari uccisi a randellate, ridotti ad un ammasso di ossa e poltiglia sanguinolenta le cui orbite oculari furono umiliate infilzandole con perastri selvatici e ricoprendoli con escrementi li riversati sui corpi per profanarli nella maniera più lurida e cruenta che la rabbia suggerì in quell’istante.

   

La cittadina di Corleto Perticara, che sta vivendo un bel periodo di fermento culturale, riesce a fare “coming out”, a dimostrazione di una matura emancipazione al punto da trasformare in convegno sentito e partecipato, la presentazione del libro storico antropologico del Prof. Enzo Vinicio Alliegro, antropologo docente dell’Università Federico II in Napoli. Le associazioni riunite in comitato d’azione culturale, con La Fenice, che stimola e fa nascere sotto il suo auspicio l’edizione del lavoro di ricerca antropologica, trascinando ed amalgamando l’Auser, Iperuranio, Endas, Istinto Lucano, Pro-Loco e Azione Cattolica. Il Libro del Prof. Alliegro, che porta appunto il titolo “La rivolta del grano”, è una minuziosa ricerca storico antropologica, che eviscera i fatti nell’ordine di accadimento fino al cruento epilogo che trasformò quei “fatti” in “fatti” inenarrabili; divennero “fatti” di cui se ne parlava ma che non se ne vedeva mai la necessità di raccontarli, tanta era la crudeltà dell’epilogo. Una crudeltà, ed una ferocia all’interno di un disordine tumultuoso che taluni, ancora oggi, evocano, per rendere la icastica idea di un disordine capace di ferocia incontrollata, dicendo: deve succedere una rivolta peggio dell’undici luglio. Mentre noi siamo soliti rifarci ai moti del 1848, con la locuzione: succede un quarantotto. Il popolo Corletano ha vissuto con mestizia il ricordo di questi tremendi fatti sfociati, seppur generati da un atto visto come un sopruso dello stato, in un epilogo così cruento da renderli inenarrabili, pur restando ovvio che la ferocia non era verso gli uomini in divisa ma rivolta a ciò che essi rappresentavano. La giornata, preparata con cura da diversi mesi, con una sapiente guida, si è articolata con un video che parla delle peculiarità paesaggistiche, storiche ed enogastronomiche di Corleto Perticara con una foto finale della bandiera Italiana e per colonna sonora l’Inno di Mameli che fa scattare tutti in piedi per cantarlo di pancia e con convinzione. La platea dimostra di aver elaborato la memoria e di aver maturato la capacità di appropriarsi della storia che ha visto parte dei cittadini protagonisti di fatti sanguinosi. Una precisazione, dagli atti e dal lavoro di Alliegro si evince che la popolazione in rivolta era composta da uomini e da tante donne, quelle che avevano la contezza della miseria e dalla impossibilità di mettere qualcosa “avanti” per il desino giornaliero, ma non si vede la benché minima ombra di proprietari terrieri; ecco perché ho voluto distinguere la rivolta dal tumulto, perché il provvedimento, falciando un bene primario, assurto al rango di bene fungibile come la moneta, colpiva i negletti, i meno abbienti non certo i padroni, che avrebbero comunque avuto di che vivere. Detto ciò si può dire che Corleto ancora una volta dimostra di essere un paese in grado di rappresentare un’intera area e di avere eccellenze intellettuali capaci di rielaborare fatti storici di un’epoca difficile che la storia riservò a tutta l’Italia nel primo dopoguerra. Un paese che ha un fermento culturale che si declina in gruppi associativi di diverso genere ma che riesce a mettere insieme idee e programmi che rendono degno il vivere in una piccola comunità dell’entroterra Lucano. Eravamo abituati alle storie cruente dei Briganti, delle teste appese ai pali all’ingresso dei paesi, alle storie di eroici briganti raminghi per le boscaglie della Lucania, e c’era invece una storia che di sussurro in sussurro e di bocca in bocca non trovava mai posto per essere rielaborata e discussa in maniera ordinata rispetto al contesto storico. Complice l’impegno del già direttore del dipartimento di economia agraria dell’UNIBAS, Prof. Sergio De Franchi, ed all’inquadramento del contesto storico a cura dell’eccellentissimo Professore Salvatore Lardino, con il coordinamento della professoressa Maria Teresa Imbriani, il chiarissimo professore, Enzo Vinicio Alliegro, ha riportato alla luce i fatti dell’undici Luglio 1920 e l’etnoantropologa, Anna Teresa Lapenta ha annunciato il suo lavoro di preparazione ad una commemorazione riappaccificatrice per il giorno in cui cadrà il centenario. E se la memoria di fatti così tragici nasce sotto l’auspicio di un’associazione che porta il nome de “La Fenice”, guidata da una sensibile e attenta signora che svolge la professione di medico “condotto”, allora vuol dire che la rinascita del paese e di questa landa all’ombra di “Tempa Rossa” non è più utopia; per questo vi voglio riportare l’epigrafe della chiave di volta del portale d’ingresso di un palazzo storico: “Ex cinere revivisco junior”. Non importa dove è allocato il Palazzo che ha questo portale, importa l’indole di una popolazione che per troppo tempo vive la sua condizione di squilibrio con l’altra parte della Nazione all’interno di una considerazione che va sotto il nome di “Questione”. Corleto Perticara, attraverso l’orgoglio del Sindaco Antonio Massari, al cospetto del Comandante Generale dell’Esercito e del Comandante Generale della legione carabinieri di Basilicata, ha aperto i lavori del convegno auspicando che il centenario sia foriero di avvicinamento con le città che diedero i natali agli sfortunati militari che vissero, con estremo sacrificio, gli ultimi giorni della loro vita da servitori dello stato. Ed in sala non è mancato lo “stato”, con l’organo che rappresenta il governo sul territorio, il Vice Prefetto Antonio Ingollingo. Non è mancata la presenza di un’altra alta carica di stato, Don Stefano Sanchirico, Prelato d’Anticamera della Prefettura della Casa Pontificia, Docente del Corso “Cerimoniale Ecclesiastico e protocollo della Santa Sede”, ambasciatore dello stato vaticano e cerimoniere per le autorità estere; Don Stefano, Corletano verace, ci racconta che dai suoi viaggi in Europa, per incarichi della Santa Sede, ha scoperto che l’approccio e l’importanza che dà l’Italia alla storia ed alla memoria è di tutt’altro spessore rispetto ai paesi del Centro-Nord Europa, forse perché la storia, tutto sommato, è l’Italia ad averla costruita. Tutto lascia ben sperare, in attesa del centenario di quel nefasto 11 luglio 1920, se anche la Santa Sede, dove la misericordia ed il perdono sono il cardine su cui muove la vita, ha l’occhio su quei “fatti”.

Gianfranco Massaro – Agos          

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