Cinque anni fa ci lasciava Pino Mango. Un malore lo aveva colpito sul palco, verso il termine di un concerto di benificenza nella sua Basilicata, mentre stava cantando “Oro“, forse il suo successo più noto, sicuramente quello che lo aveva lanciato dopo alcuni anni di difficile gavetta. Una morte drammatica e al tempo stesso eroica nel suo essere legata a filo doppio con l’arte.
“Ci sono tanti modi per morire e mediamente fanno tutti schifo – ha detto recentemente la moglie di Mango, la cantante Laura Valente -. Ma Pino se ne è andato come aveva sempre desiderato. Quando, scherzando per esorcizzare un po’ la cosa, si parlava della morte, lui aveva sempre detto che avrebbe desiderato morire sul palco, mentre stava facendo la cosa che amava di più nella vita”. E così è stato.
La Valente ha definito quell’episodio quasi “eroico”. Non è questione di usare iperboli, ma di prendere un evento drammatico nelle sue sfaccettature. Quelle di un artista, malato di cuore da tempo, che sale sul palco nonostante non si senta benissimo perché si tratta di una serata speciale e per la quale non vuole deludere il suo pubblico. E che nel momento in cui si sente male, nel mezzo di una canzone, la prima cosa che si sente di fare costretto a interrompersi, è chiedere scusa allo stesso pubblico. Devoto alla musica e a chi lo seguiva fino all’ultimo momento. Al punto che poche settimane fa il rapper Willie Peyote ha reso omaggio a Mango in una canzone a lui intitolata e che si chiude con i versi: “Non voglio fare il divo / però sputo finché campo / Finché morirò sul palco / chiedendo scusa come Mango”.
A cinque anni dalla morte è importante ricordare Mango anche per la sua unicità. Dotato di una vocalità tanto straordinaria quanto inconfondibile, Mango ha avuto il merito di associarla a un approccio musicale dagli orizzonti vastissimi. La sua musica ha sempre guardato oltre i confini italiani, avendo come riferimento il progressive nei primi esperimenti, poco fortunati, di fine anni 70, per poi evolversi gradualmente verso la world music, con forti accenti mediterannei. Se “Oro”, nel 1984, lo ha fatto conoscere al grande pubblico, sono stati tanti i gioielli disseminati lungo il cammino e rimasti nella nostra storia anche se sottopelle. “Lei verrà“, “Bella d’estate“, “Mediterraneo“, “Sirtaki“, “Nella mia città“, “La rondine“, “Ti porto in Africa“. Giusto per citare alcuni dei successi più noti. Ma in realtà tanti sono i gioielli nascosti nella sua discografia che meriterebbero un ascolto approfondito. Gioielli figli di una cultura musicale profonda, di una professionalità che rasentava il maniacale in quanto a perfezionismo, e, soprattutto, di una capacità interpretativa strabiliante: nelle sue canzoni, ogni singola parola arriva all’ascoltatore con un carico emozionale non banale. Nel complesso un caso quasi unico nella storia della nostra musica, che non ha (per il momento) lasciato eredi. Un motivo in più per non dimenticarne il lascito umano e artistico.
FONTE: TGCOM
Il video tributo della cover band ufficiale lucana