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Le misure sul personale del Servizio Sanitario Nazionale previste dal Decreto Fiscale: una buona notizia ma….

Passa in Commissione Finanze l’emendamento che innalza il tetto di spesa per il personale del SSN. Prendendo spunto dal Decreto Calabria che aveva già previsto importanti misure per il personale del SSN, l’emendamento proposto in sede di discussione del Decreto Fiscale prevede, per il triennio 2019/2021, l’incremento annuale del tetto di spesa per il personale non più del 5% ma pari al 10% dell’incremento del fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente.

Inoltre, nei casi in cui vi sia una regione che presenta particolari difficoltà con necessità opportunamente motivate di ulteriore fabbisogno di personale, valutate in sede di Tavolo tecnico degli
adempimenti e del Comitato LEA, l’incremento potrà raggiungere anche il 15%.

Si tratta di una buona notizia che segue e migliora i contenuti del Decreto Calabria con il quale erano stati in parte superati i vincoli oramai decennali per l’assunzione di personale nel SSN. Naturalmente non è la panacea per le diffuse criticità venutesi a determinare in tutti questi anni in merito alla disponibilità di risorse umane. Purtroppo bisognerà fare i conti con ubiquitarie carenze di personale dovute non solo al mancato reintegro delle risorse, ma in alcune realtà come la nostra, anche alla mobilità verso le regioni di provenienza di personale medico ed infermieristico, come per esempio la vicina Campania.

Le criticità del sistema sono ulteriormente aggravate dalla constatazione che l’età media del personale è piuttosto avanzata e, con essa, sono sempre più frequenti limitazioni
psicofisiche, demotivazione, e l’accesso al trattamento pensionistico. Inoltre, e con riferimento ai medici, con le attuali norme sui requisiti necessari per partecipare alle procedure concorsuali i quali prevedono il possesso del titolo di specializzazione, sia pure mitigate da alcune recenti norme e da alcuni atti regionali, ci si troverà sempre più ad affrontare la carenza di medici specialisti, in particolare in alcune discipline come ad esempio anestesia e rianimazione.

Da anni è stata evidenziata la carenza di medici in generale e di specialisti in particolare, ma nulla è stato di concreto fatto per ampliare la platea del laureati in medicina e chirurgia e, successivamente degli specialisti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è tanto più drammaticamente avvertito quanto più piccole e periferiche sono le strutture sanitarie. Ancora oggi i posti messi a bando per l’accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia sono insufficienti a formare un numero di medici adeguato alle diverse esigenze, non solo degli ospedali.

Anche per la Medicina Generale la carenza è del pari critica. Se poi si considera che i posti messi a bando per l’accesso alle scuole di specializzazione sono insufficienti rispetto al fabbisogno che l’attuale sistema richiede determinando un vero e proprio collo di bottiglia dopo la laurea, la situazione è ulteriormente aggravata. Ora, se l’idea di sanità pubblica che si vuole ancora garantire ai cittadini negli anni a venire è quella basata sui principi sanciti dalla Legge 833/78, bisogna assolutamente e con urgenza rivedere l’attuale modello formativo. In caso contrario il sistema dovrà essere riformato con evidenti ripercussioni negative sulla tutela della salute.

È talmente evidente la discrepanza tra fabbisogno di risorse mediche e medici formati, che è lecito pensare che negli ultimi anni non si sia voluto difendere fino in fondo il SSN. In sostanza, il modello che qualcuno ha pensato potesse essere attuato, è quello di un sistema sanitario pubblico gestito da Stato e Regioni ( primo pilastro) sempre meno equo, garantista, solidaristico ed universale. Questo a tutto vantaggio del così detto secondo pilastro ( sanità integrativa gestita da fondi sanità e casse di assistenza sanitaria che oggi già assorbe molte risorse che è divenuta
in molti casi sostitutiva più che integrativa) o, addirittura, del così detto terzo pilastro (sistema di sanità privata gestito dalle compagnie assicurative).

Da qualche tempo si è aperto un dibattito acceso sull’argomento della sostenibilità del SSN e del rischio della privatizzazione se si privilegiano il secondo ed il terzo pilastro ( Fondazione GIMBE, Prof. Cavicchi). Credo che l’idea ed i principi statuiti dalla Legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, pur con le norme intervenute nel tempo come quelle sulla così detta aziendalizzazione e la riforma del Titolo V della Costituzione (federalismo), debbano essere salvaguardati a tutti i costi per dare a tutti i cittadini pari opportunità di prevenzione, diagnosi e cura, proprio come recita l’articolo 32 della Carta Costituzionale.

Per concludere, queste le parole del Presidente della Repubblica Mattarella il 31/12/2018 con riferimento al quarantennale del SSN: “È stato – ed è – un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia. Che ha consentito di aumentare le aspettative di vita degli italiani, ai più alti livelli mondiali. Non mancano difetti e disparità da colmare. Ma si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare”. Credo ci sia poco da aggiungere.

Bruno Masino

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