RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO UN CONTRIBUTO, SULLA SITUAZIONE DI CONTAGIO DA COVID-19, DELL’AVVOCATO DANIELE GIUZIO.
La pubblicità di una nota azienda italiana di successo, recita così “l’albero delle idee”.
E’ un richiamo importante al patrimonio genetico dell’Italia e dei suoi abitanti, esportatori, in primo luogo, di una materia prima difficile da trovare, cioè la creatività, ovvero la capacità di poter sfruttare la propria immaginazione per poter attuare qualcosa di utile e di concreto.
E in questo periodo, in assenza di un vaccino, di buone idee ce ne sarebbe proprio bisogno.
E allora perché non impiegare il tempo per ipotizzare qualcosa di utile e di concreto anche per la tragica situazione del nostro paese?
Sappiamo ormai che il numero dei malati di coronavirus è in rapida escalation e che sempre di più sono coloro che vengono ricoverati nei nostri ospedali.
Gli ospedali da campo ormai non sono più una mera ipotesi ma una concreta realtà: alcuni sono già pronti altri in allestimento.
E questi posti letto saranno adattati anche in relazione alla terapia intensiva.
Difficile avere dubbi che molti ammalati finiranno sotto le tende.
Al 20 marzo 2020, i numeri dicono che i positivi al contagio sono 37.860 e di questi abbiamo:
- 185 persone in isolamento domiciliare;
- 020 ricoverati con sintomi;
- 655 persone in terapia intensiva.
Non è mistero che la crescita dei casi di contagio è destinata inevitabilmente a sovraccaricare strutture sanitarie già prossime al collasso e a rendere ancora più impellente la necessità di reperire posti letto.
In tal senso, dunque, la necessità degli ospedali da campo.
L’altra sera poi ascoltavo un medico in tv, uno dei tanti ad oggi in prima linea, che ha detto: “non si può comunque pensare che un ammalato possa restare sotto una tenda per due settimane”.
Del resto per un malato stare in una tenda è problematico anche sotto altri profili, si pensi alla distribuzione dei pasti come alla necessità dei servizi igienici.
Come risolvere il problema allora?
Ecco un’idea, peraltro tutt’altro che originale: le navi da crociera.
Un rapido sguardo sul web consente di avere cognizione che le moderne navi da crociera sono vere e proprie città galleggianti, con possibilità di ospitare da 3.000 a 5.000 persone e, nel contempo, tutto l’equipaggio e il personale necessario.
Inoltre le cabine sono dotate, tutte di servizi igienici, e la nave è strutturata per poter fornire pasti a tutte le persone a bordo.
Del resto l’idea della “nave ospedale” non è certo nuova nella storia dell’essere umano: tanti paesi hanno fatto ricorso a tale possibilità, specie nel corso delle grandi guerre del secolo scorso, per accogliere migliaia di feriti.
Ufficialmente, in Italia, fu il primo capo del Corpo sanitario della Regia Marina, l’ispettore Luigi Verde, a dare vita nel 1866 alla prima nave ospedale italiana: la Washington.
Ma le prime navi ospedale del nostro paese, dette “pulmonare“, risalgono al XVII secolo.
Allora si utilizzavano vecchie galee in disarmo, non più in grado di navigare: la pulmonara restava fissamente attraccata nel porto, funzionando come infermeria per i marinai in attesa della pratica, ai quali era vietato lo sbarco sulla terraferma.
Perché non farne ricorso adesso? Non è forse una guerra quella che stiamo affrontando?
La flotta crocieristica italiana conta più di cinquanta navi.
Ne basterebbero una ventina, dislocate strategicamente nei porti più importanti, quelli ubicati a ridosso delle grandi strutture ospedaliere.
Se solo si utilizzassero le navi da crociera in relazione ai malati meno gravi, ovvero i “ricoverati con sintomi” che non abbisognano di terapia intensiva o sub intensiva, gli ospedali italiani potrebbero liberare all’istante oltre quindicimila posti.
E nessuno vieta di avere navi ospedali per così dire “specializzate” cioè dedicate sollo alla terapia d’urgenza: due navi potrebbero ospitare tutti gli attuali degenti in tali gravi condizioni.
E ancora: perché non utilizzarle per spostare tutti i malati ospedalieri che non sono contagiati.
Non possiamo infatti dimenticarci che negli ospedali italiani ci sono migliaia di persone che non hanno contratto il virus e che, loro malgrado, sono esposti al rischio più grande da sempre presente negli ospedali italiani: le infezioni.
Non è mistero che la maggior parte delle strutture ospedaliere sono vecchie: l’Italia ha il triste primato europeo per infezioni contratte nel luogo di degenza.
Se dunque fossero trasferiti sulle navi i malati che, per così dire e non ce ne vogliano i diretti interessati, “stanno bene”, si pensi ai degenti dei reparti di geriatria, di pediatria, di traumatologia, ecc. ecc., tutte le strutture ospedaliere italiane potrebbero essere dedicate unicamente alla lotta contro il corona virus.
Liberando migliaia di posti letto.
Non solo: non ci sarebbe il rischio che l’infezione si possa trasferire da un reparto all’altro, colpendo magari anche medici e infermieri che, credo, a fronte del duro sacrificio di dover sopportare anche un esilio forzato, nondimeno tirerebbero un sospiro di sollievo per avere condizioni di lavoro più sicure.
E più sicuri sarebbero anche i familiari: non puoi andare a trovare il tuo caro che è ammalato, ma almeno la notte sai che, su quella nave, non c’è nessun contagiato ed il pericolo di ammalarsi, per personale sanitario e degenti, è notevolmente ridotto.
Infine, ma da non trascurare, anche i controlli di chi entra e di chi esce sarebbero semplificati.
Senza contare che le navi non sono chiamate a solcare i mari ma resterebbero ancorate in porto, con quel che ne consegue in termini di riduzione dell’equipaggio.
E’ indubbio che realizzare una simile ipotesi presenterebbe difficoltà.
Nondimeno un’analisi benefici-costi, anche sotto il profilo degli interessi in gioco, dovrebbe essere compiuta da parte di chi di dovere.
Il mare, che per certi versi ci isola, può essere la nostra più grande risorsa in un momento in cui l’isolamento è uno dei più grandi obiettivi da raggiungere.
Nella speranza che nelle alte sfere del nostro paese qualcuno possa, in questo momento difficile, avere la possibilità di ascoltare e prestare attenzione verso soluzioni suggerite dai singoli cittadini, l’augurio è di uscire presto da questa situazione, magari per una bella crociera.
Avv. Daniele Giuzio