Riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell’Etnoantropologa di Corleto Perticara, Anna Teresa Lapenta.
Da qualche settimana sia i giornali sia i Tg nazionali e locali hanno annunciato e confermato l’inevitabile sospensione delle espressioni del nostro patrimonio culturale immateriale: le feste popolari, il cui valore intrinseco, ovvero la dinamicità, è indissolubilmente legato all’azione dell’uomo. Apparentemente, tutto questo avviene a dispetto di quanto promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la campagna social #laculturanonsiferma.
Eppure, le tradizioni popolari lucane e di tutta Italia sembrano fermarsi, invece. Si ferma il Palio di Siena, la festa di San Domenico e dei serpari di Cocullo, la festa della Madonna della Bruna e per restare in terra lucana, si sono già fermati i riti della Settimana Santa nel Vulture e si fermano il Maggio di Accettura, la festa di San Gerardo e la Storica Parata dei Turchi a Potenza, così come alla Madre delle Genti Lucane non è stato possibile salire alla Sua Montagna Sacra accompagnata dai fedeli.
E così, numerose comunità lucane sono costrette a ripensare il proprio rapporto con la tradizione e con il sacro. E’ superfluo sottolineare quanto sia difficile pensare di scindere le due dimensioni, eppure, in questo periodo si è stati costretti a farlo. Si assiste al sacrificio della tradizione che si immola al Covid-19, almeno nelle sue espressioni pubbliche ma non si rinuncia alla manifestazione di fede. Infatti, i Santi Patroni non sono stati mai abbandonati dalle proprie comunità di appartenenza che, come la stessa Chiesa ha fatto, si sono adattate ai nuovi mezzi di comunicazione ed hanno partecipato ai riti ricomponendosi nell’aere virtuale. E il Santo, a sua volta, non ha abbandona il suo popolo come dimostra eloquentemente San Gennaro che a Napoli non manca di rinnovare il miracolo; anzi, manifesta la sua benevolenza facendo straordinariamente rinvenire il Suo sangue già liquefatto. Quello di San Gennaro è un messaggio forte di sostegno alla Sua città e all’umanità intera.
Il Covid-19 ha messo a repentaglio la forza resiliente di una nazione, l’Italia, caratterizzata dalla vitalità di innumerevoli tradizioni popolari poiché il momento critico che stiamo vivendo in quanto fatto sociale totale si configura come l’esatto contraltare di un altro fatto sociale totale che è la festa e le partiche ad essa connesse. L’emergenza Covid ci disorienta, ci spaventa, ci costringe a mettere in discussione le nostre abitudini, la distanza prossemica e le pratiche del corpo. Ci impedisce di condividere, di socializzare e di rinnovare le istanze identitarie che annualmente confluiscono nel momento focale della festa la cui linfa è costituita, essenzialmente, dallo stare e dal fare insieme nonché dal condividere emozioni.
Tuttavia, come nei profondi e cruciali momenti di crisi, il perturbamento è seguito dallo slancio verso la ripartenza: la condivisione via social di fotografie, di video e di testimonianze delle feste degli anni passati spezzano il silenzio, innescano sinergie, affermano il valore patrimoniale che ogni festa assume in ciascuna comunità. Nel non esserci, la festa riconquista prepotentemente il suo ruolo di centralità e nella sospensione di un periodo straordinario mette da parte le consuete modalità di azione per adattarsi alla situazione contingente e tornare il prossimo anno ancor più dirompente.
Anna Teresa Lapenta