di Bruno Masino
Da alcuni giorni circolano notizie ed anticipazioni su alcuni quotidiani relative alla bozza di legge regionale di riforma del sistema sanitario della Basilicata che disegna un nuovo assetto delle aziende sanitarie e ospedaliera.
La bozza, che tra l’altro è stata ampiamente divulgata con una sorta di tamtam tra i professionisti del settore sanitario, riprende alcuni aspetti della prima stesura della proposta di legge regionale del 2016 nella parte che prevedeva un’azienda sanitaria territoriale unica regionale ed un’azienda ospedaliera regionale unica che inglobasse tutti i presidi per acuti. Poi, per ragioni alcune ben evidenti ed altre meno chiare, fu approvata la legge regionale n. 2/2017 che, invece di esitare in una riforma complessiva del sistema che coinvolgesse l’assistenza territoriale e quella ospedaliera oramai a nove anni dalla l.r. 12/2008, si limitava ad un semplice accorpamento dei tre ospedali di base di Villa D’Agri, Melfi e Lagonegro all’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza, transitandovi dall’ASP.
Correttamente, a suo tempo, il legislatore non ha parlato di riforma ma di riordino. Riordino perché l’intervento normativo è stato riduttivo, limitato solo ai tre presidi e, soprattutto, non ispirato a logiche riorganizzative tese a migliorare un sistema con evidenti lacune, ma dettato da esigenze essenzialmente di natura economico-contabile. Infatti, con la legge di stabilità 2016 anche i presidi ospedalieri delle aziende sanitarie avrebbero dovuto rispettare il pareggio di bilancio a partire dall’annualità 2017. L’esperienza del riordino è stata vissuta in prima persona da chi scrive, contribuendo alla fine del 2016 e nei primi mesi del 2017 alla stesura dei documenti programmatici della nuova azienda ospedaliera, con particolare riferimento al ruolo ed alla mission di ciascuno dei presidi, da quello di Potenza a quello di Pescopagano ed ai tre ospedali di base ex-ASP.
In sintesi il modello immaginato era quello del c.d. hub and spoke in cui il presidio di Potenza avrebbe dovuto essere il riferimento per le patologie a maggiore complessità, mentre i presidi territoriali avrebbero dovuto trattare le patologie di medio-bassa complessità. In tal modo il presidio del capoluogo avrebbe recuperato il ruolo che gli spettava mantenendo elevato lo standard prestazionale, mentre gli ospedali territoriali avrebbero dovuto rappresentare il modello di risposta più appropriata per tutta l’attività meno complessa sottraendola al presidio capofila in modo tale che questo avrebbe potuto meglio assolvere alla sua mission.
Quindi, gli elementi caratterizzanti del modello che si voleva costruire erano l’integrazione tra le strutture, lo sviluppo delle reti per patologie attraverso l’elaborazione ed applicazione di percorsi diagnostico-assistenziali, l’implementazione di modelli di appropriatezza clinico-gestionale ed il recupero della mobilità passiva extraregionale. In proposito ricordo che i dati economici della mobilità, attiva e passiva, ci dicono che la Basilicata ha un bilancio in rosso di ca. 40 milioni di euro dovuto, tra l’altro ed in buona parte, alla mobilità passiva per patologie che potrebbero essere trattate adeguatamente in regione. Si voleva, inoltre, attuare un modello assistenziale per intensità di cura che avrebbe modificato la vecchia logica clinico-assistenziale ottenendo maggiori efficienza ed efficacia prestazionali, nell’interesse del paziente. Il modello che si voleva creare era ambizioso e di notevole rilevanza strategica.
Ci abbiamo creduto fortemente ma, ahimé, i risultati non sono stati quelli che si volevano ottenere. Le ragioni quali sono state? A mio avviso molteplici. Prima fra tutte l’assenza di un tavolo regionale che avrebbe dovuto governare i percorsi nella fase di prima applicazione della nuova norma. Invece così non è stato. Dopo aver emanato la legge regionale, il tutto è stato lasciato nella esclusiva responsabilità delle direzioni strategiche delle due aziende (ASP e AOR) assistendo, tra l’altro, ad un “mercanteggiare” di risorse, umane e non. Il risultato è stato che, per quanto più volte tale criticità sia stata rappresentata chiedendo di assicurare la conferma di dotazioni minime indispensabili al buon funzionamento dei presidi ospedalieri, si è assistito al loro svuotamento con riferimento al personale di supporto tecnico-amministrativo, ma anche di mezzi (si pensi ad esempio alle dotazioni di ambulanze). Ne è derivata una centralizzazione di tutte le attività tecniche ed amministrative presso la sede di Potenza, senza che vi fosse di pari passo l’implementazione di un modello efficiente magari con una riorganizzazione degli uffici alla luce delle mutate esigenze e risentendo pesantemente di un’inadeguatezza delle risorse umane rispetto ai nuovi bisogni.
Si è assistito così ad uno stallo degli acquisti anche delle cose più semplici ma indispensabili, ad una confusione nella gestione delle risorse umane, a notevoli ritardi e rallentamenti nella gestione delle problematiche tecniche ed impiantistiche, al mancato o ritardato approvvigionamento di presidi, farmaci, ecc.. Tutto questo ha causato notevolissime difficoltà ai tre ospedali di base costringendo le loro direzioni mediche a ricorrere a veri e propri espedienti ed operando in costante emergenza pur di garantire le attività, assumendosi non poche e pesanti responsabilità nell’interesse del cittadino-paziente. Si aggiungano le criticità relative alle carenze diffuse delle figure mediche specialistiche come anestesisti-rianimatori, medici del pronto soccorso, internisti, chirurghi, ortopedici, radiologi, pediatri, ecc. .
Pur in una logica dichiarata di gestione dipartimentale, quest’ultima non c’è mai stata con il risultato che la “periferia” è rimasta sempre più periferia. Una cabina di regia regionale che avrebbe visto la partecipazione delle due aziende, nella fase di prima applicazione della l.r. 2/17 avrebbe dovuto accompagnare il percorso facendosi garante degli obiettivi che la legge si poneva e, soprattutto, delle necessarie risorse e condizioni organizzative indispensabili a perseguire gli obiettivi di vera integrazione.
Per quanto riguarda il distretto della salute di Villa D’Agri, la responsabilità gestionale è stata sempre affidata in via provvisoria, e lo è ancora oggi, a dirigenti senza mai attuare le procedure concorsuali per individuare un direttore responsabile che fosse pienamente legittimato, titolato e nel pieno della sua responsabilità. Si è assistito col tempo ad una sempre più ridotta considerazione del ruolo del distretto che è così venuto meno a molte delle sue prerogative quale presidio territoriale di risposta ai bisogni sociosanitari di base del territorio di riferimento.
E veniamo ora alla proposta di riforma 2020. Come anticipato, a differenza del riordino innanzi descritto, essa ha come obiettivo quello di riformare tutto il sistema sanitario regionale. Sono, pertanto, interessati sia il territorio con le sue articolazioni organizzative e di offerta prestazionale, sia la rete degli ospedali per acuti. Ad una prima lettura della bozza non si possono però non fare alcune considerazioni che ne evidenziano le criticità.
La prima è che non si comprendono le ragioni, previste all’articolo 8 della bozza, di una gestione commissariale della durata di un anno in fase di applicazione della norma. Non sono competente in materia ma mi chiedo e chiedo, non sarebbe possibile invece prevedere la nomina dei direttori generali delle nuove aziende ed affidare loro anche la gestione commissariale limitatamente a quelle attività legate al transito di presidi dalle ex aziende nelle nuove? Anche nel 2008, con la l.r. 12 che ha riorganizzato l’assetto territoriale delle ex aziende sanitarie con la creazione dell’ASP e dell’ASM e con transito di presidi, non c’è stato bisogno di individuare alcun commissario. La nomina in prima applicazione permetterebbe alle direzioni delle nuove aziende di essere nella pienezza dei propri ruoli e non si perderebbe un anno di tempo (tanto sarebbe la durata della gestione commissariale prevista). Rilevo anche che tra i compiti affidati ai commissari con il richiamato art. 8 ve ne sono alcuni che, attenendo alla sfera di competenza della figura del direttore generale, non potrebbero essere svolti da commissari.
Inoltre, nel medesimo articolo, si riporta che tra i compiti del commissario è prevista la nomina del direttore sanitario e di quello amministrativo. Anche per questa fattispecie ritengo che il commissario non possa nominare i due direttori, questo rientra ancora una volta tra le competenze e responsabilità del direttore generale. Il commissario è una figura unica a cui sono affidati compiti e funzioni limitati nel tempo, con riferimento a situazione particolari e non ha i poteri e le prerogative che la norma pone in capo al direttore generale. Altro aspetto da prendere in considerazione è quello relativo alla definizione degli ambiti territoriali dei distretti sanitari di cui all’art. 4. Avrei preferito che, se proprio si doveva sostituire il termine attuale di “distretto della salute” per segnare la discontinuità con il passato, sarebbe stato meglio denominarli distretti sociosanitari e non semplicemente distretti sanitari. Vorrei ricordare in proposito che nel distretto (cfr. d.lgs. 229/99 o riforma ter) trovano spazio le attività sanitarie e socio-sanitarie territoriali, opportunamente coordinate con quelle dei dipartimenti territoriali (dipartimenti di prevenzione e di salute mentale ad esempio).
Ma l’aspetto che più di altri emerge in modo prepotente è che il distretto della Val D’Agri perde la sua identità ed autonomia, con sei distretti individuati come facenti parte dell’azienda territoriale unica regionale (ASTUR) e l’ambito della Val D’Agri accorpato a quello del Marmo Melandro Platano. Questo è un altro duro colpo alla nostra valle. Si perpetua quanto verificatosi con la trasformazione delle UU.SS.LL. in AA.SS.LL. per dare attuazione al d.lgs. 502/92. A metà degli anni ’90, infatti, le uniche due UU.SS.LL. soppresse furono quella di Villa D’Agri confluita nell’ASL di Potenza, e quella di Senise confluita nell’ASL di Lagonegro. Oggi si ripropone un disegno simile con riferimento alla geografia distrettuale, probabilmente definita più con il compasso che sulla base di una valutazione che tenesse conto di storia, condizioni orografiche, affinità, identità e, soprattutto, valutazioni epidemiologiche dei bisogni di salute che non mi pare siano state fatte.
Veniamo, infine, a quanto riportato nell’art. 5 della bozza che fa riferimento all’articolazione dell’azienda ospedaliera unica regionale (AOUR). Anche qui, ma vorrei tanto sbagliarmi, si intravede una penalizzazione per la Val D’Agri. Il modello prevede un DEA di II livello attestato al presidio di Potenza ed un DEA di I livello attestato a Matera, e questo già è. Inoltre, prevede un DEA di I livello aggiuntivo che, per quanto riportato nella bozza, ci lascia immaginare che non possa essere individuato nell’ospedale di Villa D’Agri. E per quest’ultimo cosa si prevede? Il comma 4° dell’art. 7, con riferimento alle aziende istituite con la proposta di legge regionale, recita testualmente “danno puntale esecuzione alle disposizione di cui al D.M. Sanità n. 70 del 2 aprile 2015” (io scriverei D.M. Salute in quanto sono già molti anni che si chiama Ministero della Salute e non più Ministero della Sanità). Questo significa solo una cosa, vale a dire che secondo gli standard del D.M. 70/15, un ospedale di base quale è quello di Villa D’Agri può contare solo sui seguenti reparti di degenza e servizi:
Medicina Generale
Ortopedia
Chirurgia Generale
Servizio di Anestesia (non rianimazione)
Pronto Soccorso con OBI
Radiologia
Medicina di Laboratorio
Emoteca (non centro trasfusionale).
A mio avviso non si può è non tenere conto della specificità della Val D’Agri, ma anche del Sauro, con riferimento alle attività estrattive che comportano rischi di incidenti rilevanti per cui indispensabile la presenza di un presidio idoneo a fronteggiare l’emergenza, così come è necessario assicurare specialità in grado di meglio rispondere agli specifici bisogni di salute, come dimostrano lo studio VIS e la disamina della casistica delle patologie più diffuse. Penso, in particolare, alle patologie respiratorie ed a quelle endocrinometaboliche. La sicurezza sanitaria ed il diritto alla salute devono essere garantiti anche ai cittadini della valle, pur nel rispetto delle norme nazionali.
La speranza è che in sede di discussione la bozza venga opportunamente emendata ponendo rimedio a queste ed altre approssimazioni. Ma, soprattutto, mi auguro che oggetto di dibattito siano i reali bisogni sanitari, sociosanitari e sociali da affrontare con adeguata competenza tecnica avendo chiara la vision della sanità lucana futura la quale dovrebbe saper cogliere e interpretare al meglio le esigenze, dando luogo al modello che più sappia rispondere ad esse. Ciò potrà essere possibile mediante la giusta valorizzazione di ciascuna azienda ed ogni presidio che, una volta definiti gli obiettivi di salute ed economico-finanziari, devono poter agire con dotazione di risorse adeguate ed in piena autonomia gestionale, rispondendo giustamente dei risultati raggiunti.