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Verso il quarto referendum costituzionale “confermativo” della Storia della Repubblica

Domenica 20 e Lunedì 21 Settembre, circa 50 milioni di cittadini aventi diritto, saranno chiamati al voto per confermare o respingere la riforma costituzionale che prevede l’oramai celeberrimo “Taglio dei parlamentari”. Secondo il disegno di legge, già ratificato da entrambe le camere (ma senza maggioranza dei due terzi), non verrebbe intaccato il cosiddetto “Bicameralismo perfetto” (come prevedeva la riforma costituzionale voluta dal governo Renzi e sonoramente bocciata dagli Italiani nell’occasione del referendum confermativo del 4 Dicembre 2016) ma, di fatto, si eliminerebbe circa il 36% della rappresentanza parlamentare territoriale complessiva.

In caso di vittoria del Sì, la Camera dei Deputati passerebbe dagli attuali 630 seggi a 400. Il Senato della Repubblica ridurrebbe la sua platea da 315 senatori a 200.

Come tutti sapete, questo referendum cade in un momento particolare per il Paese: siamo ancora in una fase di piena emergenza sanitaria e permangono diverse incognite anche rispetto ad una ripresa economica che potrebbe essere inficiata dalla recrudescenza del virus e dunque da nuove chiusure.

Ciò premesso, preme ora entrare nel merito di una discussione che dovrebbe essere affrontata senza strumentalizzazioni di sorta (convenienze politiche contingenti), analizzando le diverse ragioni di chi si oppone sui due fronti referendari.

Intanto, è necessario ricordare come sono andate le cose in passato: negli ultimi vent’anni, quando gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi in merito alla conferma  di leggi che andavano, di fatto, a modificare la carta costituzionale.

Il 7 Ottobre 2001, gli italiani furono chiamati a ratificare la modifica del cosiddetto “Titolo V della parte Seconda” della Costituzione (Decentramento competenze dallo stato centrale agli enti territoriali). In quell’occasione prevalsero i Sì con quasi il 65% dei voti, anche se l’affluenza fu molto bassa (34%). Ricordiamo che per i referendum “confermativi” la nostra Carta Costituzionale non prevede il raggiungimento del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto.

Nelle altre due occasioni in cui gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi in merito alla modifica della carta costituzionale, le cose, invece, andarono in maniera opposta.

Il 25 e 26 Giugno del 2006, si tenne il referendum confermativo sulla cosiddetta “Devolution” voluta dal governo Berlusconi II (sotto la forte spinta della Lega di Bossi).

Si trattava di un disegno di legge diretto a modificare sostanzialmente la seconda parte della Carta Costituzionale, introducendo novità in parte sovrapponibili a quelle previste dalla legge che saremo chiamati a confermare o a respingere il prossimo 20 Settembre.

Si parlava, infatti, anche in quel caso di “taglio dei parlamentari” (da 630 a 518 Deputati e da 315 a 252 Senatori).

Ad ogni modo, bisogna ricordare che i punti cardine di quella riforma erano altri: fine del Bicameralismo perfetto, con l’introduzione del Senato Federale ed accentramento dei poteri nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri ( questi avrebbe potuto nominare e revocare i ministri, dirigere la politica degli stessi non più coordinando l’attività dei ministri ma determinandola; avrebbe potuto sciogliere direttamente la Camera,potere solitamente affidato al Presidente della Repubblica, non esercitabile però incondizionatamente, poiché egli può indire elezioni anticipate – secondo la migliore prassi – solamente ove riscontri l’impossibilità di una qualsiasi maggioranza)

Era una riforma di innovazione e modifica sostanziale dell’architrave parlamentare della Repubblica Italiana, riforma che fu sonoramente bocciata dall’elettorato: prevalsero i NO con il 61,29%.

Tra l’altro, nonostante l’assenza del Quorum, la partecipazione dei cittadini fu abbastanza elevata: si presentarono alle urne oltre il 52% degli aventi diritto.

Più recenti sono le vicende che riguardano il referendum confermativo della Riforma Costituzionale cosiddetta “Renzi- Boschi”, tenutosi il 4 Dicembre del 2016.

Anche in quel caso, gli italiani erano chiamati a ratificare delle modifiche sostanziali alla Costituzione, specificamente al funzionamento del Parlamento della Repubblica.

Anche in questo caso si prevedeva l’abolizione del Bicameralismo “Perfetto”, con l’introduzione del cosiddetto “Bicameralismo Differenziato”: soltanto i deputati sarebbero rimasti i “Rappresentanti della Nazione”, mentre con l’introduzione del “Senato delle Regioni”, i senatori diventavano “Rappresentanti delle Istituzioni Territoriali”. Secondo le disposizioni del disegno di legge, il numero dei senatori sarebbe passato dagli attuali 315 a 100 più i senatori a vita.

Si prevedeva, inoltre, una velocizzazione dell’iter parlamentare per l’approvazione delle leggi: a Camera dei deputati sarebbe diventata l’unica ad esercitare pienamente la funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo.

Altro tema importante (punto di contatto con la “Devolution” del 2006) era quello del rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Anche in quell’occasione, complice una particolare politicizzazione della consultazione referendaria (legata dallo stesso Presidente del Consiglio dell’epoca alla sopravvivenza stessa dell’esecutivo da lui guidato), il risultato fu negativo.

Circa il 60% degli italiani si oppose all’approvazione della riforma costituzionale, votando No.

L’affluenza alle urne fu altissima (oltre il 65%) segnale del fatto che le forze politiche di opposizione dell’epoca (e la maggioranza dei cittadini), colsero l’occasione per trasformare la consultazione in un referendum sul governo.

Questo il racconto di come sono andate le cose quando si è chiesto agli italiani di modificare la carta costituzionale ed il funzionamento del Parlamento.

Quale scenario possibile per il Referendum del 20 e 21 Settembre

In questa occasione, è bene ricordare che il disegno di legge proposto soprattutto dal MoVimento Cinque Stelle, non prevede l’archiviazione del bicameralismo perfetto o la sostanziale modifica delle prerogative dei due rami del Parlamento o del Presidente del Consiglio.

I Sostenitori del Sì puntano molto sul tema del taglio dei costi della Politica, asserendo che 1000 parlamentari sarebbero troppi per una nazione come l’Italia (confrontando la nostra situazione con quella di altri paesi europei.)

Argomento sicuramente caldo perchè abbraccia complessivamente il tema dei privilegi, quello de “La Casta” e quello della sfiducia dei cittadini nei confronti dei rappresentanti delle Istituzioni.

E’ chiaro che, dal punto di vista più strettamente politico, se dovessero prevalere i Sì, si renderebbe necessaria l’approvazione di una nuova legge elettorale in grado di adeguare il processo di consultazione democratica alla nuova dimensione rappresentativa.

I Sostenitori del No ribattono che non si tratta di un taglio dei costi, bensì di un taglio della rappresentanza democratica territoriale. Infatti, alcune regioni, vedrebbero fortemente ridotta la possibilità di eleggere un numero di parlamentari adeguato.

Dunque, in questo caso, il dibattito dovrebbe essere incentrato su quale futuro si immagina per la democrazia rappresentativa, come essa può modificare la sua funzione storica in relazione alle nuove forme di partecipazione alla vita pubblica.

Staremo a vedere come finirà.

Di certo, resta evidente un fatto: quando agli Italiani viene chiesto di votare per modificare la Carta Costituzionale, nulla è mai deciso in partenza…

 

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