Società e Cultura

Il “sogno” dell’industrializzazione 40 anni dopo il terremoto del 1980


Il terremoto 80 ci lascia in eredità la questione industrializzazione. Il “sogno” della legge 219/81 era portare fabbriche quasi dappertutto. Sono nati così 8 nuclei industriali a cui aggiungere almeno una ventina di aree per insediamenti artigiani e comunque di piccole imprese. Il risveglio da quel sogno è la realtà, ad esempio, dell’area di Tito Scalo, o se vogliamo Baragiano. Oggi capannoni abbandonati e lotti vuoti. Qualche migliaio di operai da lunghissimi anni in ammortizzatori sociali, in mobilità e oggi fanno parte della platea del reddito minimo , lavoratori che hanno perso il lavoro troppo giovani , ancora oggi sono troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per trovare un lavoro. Una drammatica situazione che molte famiglie hanno dovuto vivere con la speranza di una prospettiva mai avvenuta. Questo perché è mancato un autentico progetto di politiche attive del lavoro e di riqualificazione delle competenze.

Ma la storia dell’industrializzazione delle aree terremotate non è fatta solo di fallimenti. Ci sono esempi di imprese diventate simboli – su tutti la Ferrero a Balvano, la Barilla a Melfi, l’Hitachi a Tito – per non parlare della Fca di San Nicola di Melfi. Come è sicuramente da rilanciare la funzione dell’Unibas nata dopo il terremoto e che ha compiti ancora più attuali e importanti da svolgere per la formazione dei giovani e la ricerca. Esempi di un grande potenziale di risorse – prima di tutto umane – e territoriali anche se era impensabile che otto nuclei industriali potessero tutti funzionare in ogni evenienza.

Il tema centrale resta – esattamente come 40 anni fa – quello della governance delle politiche industriali. Penso al Consorzio Industriale di Potenza oggi in agonia e quindi impossibilitato a dare qualsiasi impulso o strategia. La Giunta Regionale deve perciò decidersi. L’idea di costituire un’Agenzia Regionale che unifichi i due Consorzi – Potenza e Matera-Valbasento – si è arenata tra provincialismi ed incapacità. Se non si scioglie questo nodo ogni proposito di Basilicata attrattiva resta nel libro dei sogni. Come è indispensabile accelerare l’operatività della ZES Jonica che per delimitazione comprende anche parte dell’area sud della provincia di Potenza. Non basta garantire benefici fiscali ed agevolativi e magari il consumo agevolato di gas ed acqua. C’è in proposito il gap infrastrutturale da superare in fretta. Come c’è da credere ed investire su alcune filiere come l’agro-alimentare, le energie rinnovabili per la transizione energetica

Il Recovery e il Resilience plan italiano dovrà dare risposta alle tre grandi questioni poste dalla crisi pandemica e dalla transizione energetica: le persone, le imprese e il lavoro, i territori. Dovrà disegnare interventi che favoriscano in primo luogo le fasce sociali più deboli, per ridurre la divaricazione sociale cresciuta in questi anni.

Sul fronte dei territori, i rapidi cambiamenti nelle produzioni industriali legate alla maggiore attenzione ai temi ambientali obbligherà molte imprese a ripensare le proprie produzione. Penso alla Fiat, alla Ferrero, ai grandi gruppi che hanno investito nella Basilicata. Il Recovery plan deve contribuire ad accelerare i progetti di riconversione industriale e riqualificazione e individuare le politiche capaci di rilanciare territori.

Dobbiamo pensare alla Basilicata come Regione LABORATORIO. E’ la sfida più importante, un orizzonte di più lungo respiro di cui noi forze sindacali dobbiamo essere i più convinti.

Dall’ esperienza del terremoto 1980 la Regione deve costruire una nuova fase se non vogliamo che i futuri disoccupati della pandemia non diventino i futuri lavoratori senza lavoro e purtroppo senza speranze.

 

Vincenzo Tortorelli, segretario regionale Uil Basilicata

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