Riflessione dell’Etnoantropologa Dr.ssa Anna Teresa Lapenta
L’8 dicembre 1870 Papa Pio IX proclamò San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale. A distanza di 150 anni da quella data una riflessione su quanto sia ancora contemporanea la figura di un Uomo vissuto oltre duemila anni fa.
Protettore dei lavoratori, dei falegnami, dei padri, dei carpentieri, degli economi e dei moribondi; marito di Maria e padre di Gesù; venerato in tutta Italia a San Giuseppe è dedicata una vasta letteratura antropologica concernente la ritualità del fuoco. Nella nostra regione, ad esempio, era ed è diffusa la tradizione di ritrovarsi intorno ad un grande falò a consumare le patate cotte sotto la cenere e a ballare la tarantella al suono di organetti. Un tempo, nei vari paesi della Basilicata, le pire erano a carattere rionale, costruite da giovani questuanti che si occupavano della raccolta della legna, attività che si tramutava nell’agonistica gara alla realizzazione della catasta più alta. Questo aspetto ludico-rituale celava anche ragioni pratiche quali quella di liberarsi dei rami in eccesso prodotti dalla potatura degli oliveti e dei vigneti. L’uso del fuoco è largamente attestato in tutta l’area euro-mediterranea e di tali ritualità si hanno numerose interpretazioni: da simbolo di fertilità alle ipotesi correlate alle celebrazioni del solstizio etc.
La mia riflessione di oggi, però, è di tutt’altra natura. La figura del Santo rimanda ad un altro aspetto ben stratificato nella cultura occidentale e cattolica ed è quella che concerne il nostro modello di famiglia. Innanzitutto bisogna sottolineare che la vita di San Giuseppe nei Vangeli è passata un po’ in sordina, e poco possiamo sapere dai testi biblici per cui per poter ricostruire la sua biografia è necessario ricorrere all’abbondante letteratura apocrifa, in particolare si piò far riferimento al Protovangelo di Giacomo.
Della vita di quell’anziano falegname (o carpentiere), padre di Gesù, suscita interesse la prepotente componente di umanità che caratterizza le azioni della Sua esistenza. Giuseppe per la società in cui viveva, patriarcale e maschilista, rappresentò un caso di sovversione dell’ordine sociale. Probabilmente vedevo e padre “dei fratelli e delle sorelle di Gesù” (figli di primo letto), è un uomo anziano che decide di prendere in moglie una giovane donna che aspetta il figlio di un altro, che chiunque avrebbe stentato a credere che l’altro fosse Dio. Piuttosto che ripudiare la giovane Maria egli l’accoglie e da il nome di Gesù a quel bambino, atto coraggioso che conferisce a quello stesso bambino il riconoscimento e l’identità sociale: Lo cresce e Lo protegge da padre giusto e benevolo tanto che la sua figura assurge oggi a paradigma del buon padre. Alla luce di quanto detto, la famiglia Sacra di cui Giuseppe è custode è una famiglia a tutti gli effetti, in cui l’amore si configura come componente primaria, nonostante non sia una famiglia naturale. In un momento storico in cui tanto si discute su ciò che sia naturale oppure no, giusto o sbagliato, cambiamento o tradizione, dovremmo guardare a quella Famiglia come esempio di amore. Ecco, perché per me San Giuseppe è ancora attuale.
Anna Teresa Lapenta