Oggi è la giornata del ricordo e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Per evitare che anche questa giornata diventi un mero esercizio retorico, scollato dal sentimento delle persone, proviamo a raccontarvi una storia.
Qualcosa di concreto, palpabile.
Non usiamo le parole, ma l’esempio.
Ogni anno ricordiamo la giornata sulla legalità: Falcone, Borsellino, gli uomini della scorta e tutti coloro che hanno dato la vita per rendere il nostro Paese un posto migliore.
In pochi conoscono la storia di Rita Atria “la picciridda” come amava chiamarla il giudice Paolo Borsellino.
Una ragazza cresciuta respirando il fetore della mafia, in una famiglia mafiosa. Rimasta orfana e dopo aver perso anche il fratello, Rita ha messo in atto ciò che portava da tempo nel cuore. Ha deciso di essere diversa, migliore, una persona onesta, giusta. Pagando questa scelta a caro prezzo.
Rita Atria nasce a Partanna un piccolo paese in provincia di Trapani.
E’ figlia di Vito Atria, Don Vito, boss della mafia, rispettato e temuto nel piccolo paese siciliano.
Don Vito da semplice pastore era diventato proprietario terriero. Quando camminava per le vie di Partanna tutti riverivano Don Vito, uomo d’onore e amante delle belle donne.
Ne aveva tante e se le poteva permettere. Nessun marito tradito avrebbe avuto il coraggio di affrontare Don Vito Atria.
Nel paese lo chiamavano il “paciere”. Se qualcuno aveva un problema si rivolgeva a Don Vito.
Per la piccola Rita, il padre, era una persona generosa che risolveva i problemi di tutti.
Una persona importante.
Nicolò Atria, fratello di Rita, adorava la sorellina, la chiamava la “picciridda”.
Nicolò seguiva le orme del padre, eseguiva ogni ordine ricevuto ed ascoltava con attenzione i consigli del padre/boss. Un giorno avrebbe preso il suo posto, lo sapeva da sempre.
Come sapeva che avrebbe sposato la sua amata Piera Aiello, una bella ragazza del paese dal carattere forte e coraggioso.
Rita adorava il padre ed il fratello Nicolò. Era coccolata, viziata. Era la “picciridda” di casa.
Ma presto, ancora bambina, Rita avrebbe scoperto la triste verità.
Don Vito viene ucciso quando Rita aveva solo 11 anni e Nicolò preso dalla desiderio di vendetta cerca i killer del padre ed un giorno anche lui viene assassinato sotto gli occhi di Piera Aiello.
La piccola Rita capisce presto che la sua famiglia non era come tutte le altre.
Era la figlia di un boss della mafia, per questo tutti lo rispettavano nel paese.
Il fratello Nicolò era come lui, un assassino.
Piera Aiello decide di collaborare con la giustizia e rompe il silenzio, l’omertà.
Denuncia i killer del marito e la sua vita cambia drasticamente.
Rita ormai è sola. Non è più la picciridda di casa. Rimane con la madre Giovanna, donna severa e poco incline alle smancerie.
Rita matura la decisione di ribellarsi e di denunciare quel mondo che rifiuta. Non vuole la vendetta mafiosa, vuole giustizia.
Inizia per lei una nuova vita, fatta di sotterfugi e bugie.
Voleva raccontare tutto alla magistratura, voleva descrivere l’ambiente mafioso di Partanna.
Ma non era così semplice. Tutti in paese la osservavano. Non era solo la figlia del boss ucciso, Don Vito, era anche la cognata di un infame.
Ogni mattina sale sul pulmann che la porta a Sciacca dove frequenta la scuola e quando nessuno la vede prosegue il percorso verso il Tribunale.
Rita non ha mai conosciuto la giustizia quella vera, sana, ma solo la legge della mafia, fatta di soprusi, vendette e omicidi.
Rita inizia a raccontare tutto quello che sa, fa nomi, racconta circostanze.
Di lì a poco conoscerà un uomo dalla faccia sempre seria, concentrata e circondato perennemente dalla nuvola di fumo delle sigarette che fuma con ostinata ossessione.
Rita non conosceva Paolo Borsellino. Non aveva mai sentito parlare di giudici, poliziotti, uomini della giustizia. Non ne conosceva i nomi.
Ma si fidava di quell’uomo apparentemente burbero che la chiamava la “picciridda”come facevano suo padre e suo fratello.
Era nata una fitta collaborazione tra Rita e la giustizia, tra Rita e Paolo Borsellino.
Come Piera, anche Rita venne trasferita a Roma.
Non era sicuro per lei restare a Partanna.
Una vita nuova, lontana dalla sua Sicilia. Lontana dalla mafia.
Per Rita era la vita del riscatto. Si sentiva forte perchè accanto lei c’era Paolo Borsellino che considerava un padre.
Rita aveva solo diciassette anni quando si è lanciata dal settimo piano di un palazzo del quartiere Tuscolano a Roma.
Era rimasta sola, ancora una volta, ripudiata dalla famiglia.
La strage di Via D’Amelio le aveva portato via la persona che le aveva dato la forza e il coraggio di riscattarsi.