I centri storici delle città italiane, non da meno quelli delle città di provincia, sono svuotati e nelle mani dei Bed and Breakfast, delle friggitorie e Pub di ogni ordine ed estrazione di profitto. In sintesi: hanno perso la centralità urbanistica, il ruolo dove si svolgeva la vita sociale per l’incontro, per lo shopping, per le vetrine d’eccellenza e per le caratteristiche del luogo stesso. Si trovava l’artigiano orafo, la panetteria storica, il negozio d’abbigliamento rinomato, la fine sartoria o la calzoleria d’eccellenza. Non da meno il Bar che ti conosceva, accogliendoti con le coccole di chi ti faceva il caffè e ti portava al tavolo il vassoio, inframmezzando una domanda del come va il tempo o del come “sta la signora a casa” o: come vanno le cose a lavoro? così proseguendo con l’edicolante, il tabaccaio e il barbiere. Oggi tutto è smaterializzato e veloce, dove il rapporto umano è svincolato dal tempo che intercorre tra le ore di lavoro e il tempo in cui si respira e annusa l’aria dell’urbe. Il profitto e le comodità hanno soppiantato ogni benessere di tipo intimo in ragione di un sempre maggiore profitto economico da poter ostentare. L’industria del singolo, ovvero la capacità di saper costruire, con il fare e con l’ingegno, il benessere e la solidità per se e la propria famiglia, è stato archiviato in ragione del guadagno con sforzi minimi. Soldi da soldi, scollati dal benessere che può procurare il vedere il proprio laboratorio acquisire nuovi clienti e crescere nel divenire della sua vita. L’etica d’impresa dovrebbe intimamente imporre all’investitore, a mio parere, scelte che riverberino sull’ambiente con virtuosità sociali che siano un attimino scollati dal risultato facile e dal profitto massimo. Perché possedere il capitale – senza un’etica rivolta al sociale – è solo il vantaggio che consente di mettere in campo attività che generano ancora altro capitale senza preoccuparsi dell’ambiente circostante.
A Potenza, capoluogo della Regione che ha una lentezza d’altri tempi, una frugalità d’eccellenza, una qualità dei sapori e degli odori ancora degni di essere apprezzati, apre un McDonald’s nel pieno centro, lungo la via dello “struscio”, già sede di UPIM, un simbolo del boom economico.
Credo che le motivazioni siano quelle di attirare gente per rivitalizzare il centro storico; dal momento che un McDonald’s già c’è in città ed è collocato in una zona che risponde bene alle dinamiche che i McDonald’s attivano con il sistema McDrive ovvero un take away motorizzato. Motivazioni validissime che lasciano, a mio parere, un po’ di delusione per chi avrebbe voluto uno scatto d’orgoglio più cittadino e meno internazionale. Forse la “capacità economica” di investire ha rivolto le proprie indagini soffermandosi solo su quale business avrebbe reso sicuro e profittevole l’investimento. L’investitore avrebbe potuto ricercare un motivo per rilanciare il centro con attività imprenditoriali innovative, che avrebbero avuto ricadute anche sugli aspetti culturali e sociali.
Una missione d’impresa diversa e di slancio, per generare nuove e più qualificate abitudini, ergendosi a quel ruolo sociale ed etico cui mi appellavo in esordio. Mi è capitato di dare una sbirciatina sul alcuni manuali del mio periodo di studi e l’occhio mi è “caduto” sull’inciso di due note industrie internazionali che hanno modificato e cambiato le abitudini del mondo, ripeto, del mondo non di una città di provincia. Una è di una nota casa di telefonia, che in esordio dell’avventura nel campo della comunicazione aveva come scopo quello di connettere le persone (Connecting people): “Mettendo in contatto le persone noi aiutiamo il soddisfacimento di un fondamentale bisogno umano di contatti e relazioni sociali. La ***** costruisce ponti tra le persone – sia quando sono lontane che faccia a faccia – e colma il divario tra le persone e le informazioni di cui hanno bisogno” . L’altra grande azienda multinazionale aveva questi due slang della sua missione: “to create a better everyday life for the many” e “Providing affordable solutions for better living” ovvero <<Creare una migliore vita giornaliera per le masse>> e << Fornire soluzioni che siano accessibili e che migliorino la vita quotidiana>> .
Letto ciò mi sovviene alla mente una notizia di alcuni anni addietro, che calza precisamente per l’argomento. La notizia riguarda la città di Altamura, città famosa per il pane e la focaccia tipica pugliese, dove una focacceria locale, per iniziativa di un fornaio locale che, come Davide contro Golia, decide di aprire i battenti a pochi metri dalle pompose vetrine del McDonald’s. L’epilogo: dopo cinque anni McDonald’s chiude i battenti. Sarà che la Puglia è più grande, sarà che lo sforzo di un imprenditore che ha creduto fermamente nelle cose che fa senza per questo legarle a più facili investimenti che avrebbero reso di più con meno sforzo, ma non ho potuto fare a meno di pensare che forse Via Pretoria, la mitica strada dello struscio, poteva ottenere di più.
Mario Albano ha celebrato la centralità di Via Pretoria con questi versi:
Gn’è tanta ggente disce ca si brutta
forse pecché si vecchia, dongh’ e stretta,
sta ggente nun lu sa, o lu fa apposta,
ca tu si pure ‘mpò la storia nosta…..
Ecco; al netto del plauso agli imprenditori che hanno avuto il coraggio di investire i propri capitali, mi viene da dire: ma cera proprio bisogno di un McDonald’s in Via Pretoria?
Gianfranco Massaro – Agos