La Cia-Agricoltori Basilicata lancia l’allarme: se le imprese della grande distribuzione sono riuscite a tenere testa all’emergenza Coronavirus, le piccole attività, legate a ristorazione e turismo, hanno subito il contraccolpo più duro. A risentirne, quindi, soprattutto i produttori più piccoli e le specialità di nicchia Dop e Igp, Stg.
Per avere una stima precisa – secondo l’ultimo Rapporto Ismea-Qualivita – tra Dop, Igp e Stg, in Basilicata è in ballo un giro d’affari che vale 13,4 milioni di euro (con un incremento annuo del 25,1%), di cui 12 milioni per il vino e 1,4 milioni per i prodotti alimentari. Nella distinzione territoriale la provincia di Potenza registra un giro d’affari per 10,3 milioni (in gran parte vino doc-dop-docg che ha un incremento annuo del 26,5%)e quella di Matera 1,4 milioni di euro.
Con il recente riconoscimento “IGP Olio lucano” sono saliti a 18 i prodotti a marchio d’eccellenza della Basilicata: 5 Dop, 7 Igp, 4 Doc, 1 Docg, 1 Igt. A questi vanno aggiunti i 114 Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Basilicata.
L’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali realizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali riconosce 114 prodotti lucani, di cui 39 classificati quali paste fresche e prodotti panetteria e pasticceria; 32 prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati; 17 carni fresche e loro preparazione; 14 formaggi; 4 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari); 3 prodotti della gastronomia, uno bevande alcoliche, distillati e liquori (il sambuco di Chiaromonte).
Nel dettaglio la situazione lucana: formaggi – 2 dop e 1 igp; ortofrutticoli e cereali – 2 dop e 2 igp; olio extravergine di oliva, 1 dop; altri prodotti, 1 igp. I produttori lucani interessati sono 96 (erano 65 nel 2011) per una superficie di 157,14 ettari; 37 gli allevamenti (di cui 15 suinicoli per 30mila capi) ; 40 i trasformatori, 45 gli impianti di trasformazione per complessivi 129 operatori.
Abbiamo un potenziale enorme che – sottolinea il direttore regionale della Cia Donato Distefano – non a caso è indicato dal Rapporto Censis come “energia positiva”, tenuto conto che la quota dell’export alimentare del “made in Basilicata” è appena dello 0,1% dell’ammontare complessivo delle Regioni del Sud e che la tendenza del “mangiare italiano”. Tanto più che l’alimentare “made in Basilicata” continua a tirare sui mercati esteri persino rispetto ad auto (Fiat) e salotti. Per la Cia ”si tratta di un primato che conferma ancora una volta l’eccellenza dell’agroalimentare ‘made in Italy’ rispetto ai nostri competitor piu’ agguerriti”, che pero’ avverte: ”si puo’ fare molto di piu’ per sviluppare il segmento: da un lato serve piu’ promozione a sostegno dei nostri prodotti a denominazione meno conosciuti; dall’altro occorre intensificare la lotta alla contraffazione alimentare, che ogni anno ”scippa” alle nostre imprese di qualità oltre 1 miliardo”.
La produzione di prodotti tipici – aggiungono i presidenti della Cia di Potenza Lorusso e Matera Stasi- è importante per le varie zone della Basilicata perché è anche fattore di comunicazione della cultura e del paesaggio in cui questi sono inseriti. Per questo motivo dobbiamo lavorare per innalzare la qualità dei prodotti tipici che calati nel contesto degli agriturismi, alberghi, borghi albergo, ristoranti, musei della civiltà contadina, artigiani, commercianti consentono di proporre l’intero territorio, dando così vita ad una nuova filiera agricoltura-turismo-ambiente-cultura. L’obiettivo centrale è quello di accrescere la fruibilità del territorio e le opportunità occupazionali dei territori rurali attraverso lo sviluppo e il sostegno di attività non tradizionalmente agricole. Per la Cia non è più rinviabile l’istituzione di una una società – l’Agripromo – per favorire la promozione e la commercializzazione dei prodotti che hanno ottenuto o che stanno per ottenere i marchi Dop, Igp e Stg, e per allargare la “rete” dei marchi a livello comunale e territoriale, specie in attuazione del recente protocollo “Res Tipica” tra Cia ed Anci. C’è poi da contrastare efficacemente l’agripirateria: una “rapina” da 7 milioni di euro l’ora e da 60 miliardi di euro l’anno, di cui alcune centinaia di milioni di euro solo in Basilicata.
Si tratta di un vero e proprio “scippo” ai danni del settore, un assalto indiscriminato e senza tregua, dove la criminalità organizzata fa veri affari. I consumatori vengono truffati, gli agricoltori e gli industriali dell’agroalimentare derubati. A questo si aggiunge il fatto che ogni anno entrano nel nostro Paese prodotti alimentari “clandestini” e “pericolosi” per oltre 2 miliardi di euro. Poco meno del 5 per cento della produzione agricola nazionale. I sequestri da parte delle autorità competenti italiane negli ultimi due anni si sono più che quadruplicati. E ciò significa che i controlli funzionano, ma il pericolo di portare a tavola cibi “a rischio” e a prezzi “stracciati” è sempre più incombente. Da noi, insieme alla fragola del Metapontino “taroccata” in Spagna, sono vittime di agropirateria numerosi prodotti tipici lucani come il caciocavallo, il pecorino di Moliterno, i salumi di Picerno, l’aglianico del Vulture, l’olio delle colline del Materano, la farina di grano duro “senatore” del Materano, il peperone di Senise.