Come raccontato sulle pagine di Science, un équipe di ricercatori coordinata da David Sinclair, ha identificato i processi molecolari che consentono alle cellule di riparare i danni al dna causati, per l’appunto, da invecchiamento e radiazioni. Un secondo équipe di scienziati dello Erasmus University Medical Center, in Olanda, che hanno messo a punto – e testato con successo su topi da laboratorio – un trattamento in grado di indurre al suicidio le cellule anziane. I dettagli della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista Cell.
Cominciamo dallo studio pubblicato su Science: gli autori del lavoro hanno condotto una serie di esperimenti su topi identificando un passaggio cruciale nel processo molecolare che permette alle cellule di riparare il dna danneggiato da invecchiamento e radiazioni. Le cellule del corpo, infatti, hanno la capacità innata di riparare il dna – lo fanno, per esempio, ogni volta che ci esponiamo al sole – ma tale caratteristica declina con l’avanzare dell’età: l’équipe di Sinclair ha scoperto che un metabolita, il Nad+, gioca un ruolo fondamentale nell’intero processo.
I topi trattati con un precursore del Nad+, infatti, hanno mostrato una capacità superiore rispetto agli altri nel riparare i danni al dna causati da esposizione a radiazioni o invecchiamento.
Cellule anziane addio
Gli autori dello studio pubblicato su Cell, invece, hanno seguito un altro approccio, studiando i meccanismi con cui il corpo si sbarazza delle cellule senescenti, quelle che hanno smesso di riprodursi. Tali cellule si accumulano con l’invecchiamento, giocano un ruolo importante nella guarigione dalle ferite e nell’arresto dei tumori e rilasciano sostanze chimiche che provocano infiammazioni dei tessuti. I ricercatori, coordinati da Peter de Keizer, hanno messo a punto un farmaco – un peptide – che induce selettivamente al suicidio tali cellule, agendo sul bilancio delle sostanze presenti al loro interno.
Il trattamento è stato testato su diversi gruppi di topi di laboratorio: il primo costituito da animali anziani (con un’età equivalente a novant’anni umani), il secondo composto da animali geneticamente modificati in modo da invecchiare molto rapidamente e il terzo da animali invecchiati precocemente per effetto di chemioterapia. E i risultati sembrano essere incoraggianti: in diversi animali si è osservato infatti un recupero delle funzioni epatiche (che tendono a declinare con l’invecchiamento) e il raddoppiamento della distanza percorsa correndo sulla ruota. Keizer, comunque, ha ammesso di aver osservato anche effetti meno significativi, il che suggerisce che il trattamento debba ancora essere perfezionato, e di non aver osservato effetti collaterali, “anche se va detto che i topi non possono parlare”.
FONTE SANDRO IANNACCONE WIRED.IT
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