È una storia lunga, quella del grano in Italia. Basti pensare che in uno dei romanzi più letti e, al pari della Divina Commedia, adottato in tutte gli istituti di scuola media superiore, la farina diventa la cerniera attorno a cui muove gran parte della storia di un cittadino medio sottoposto alle vessazioni del potere dell’uomo sull’uomo. Ricordiamo tutti i Promessi Sposi e Renzo Tramaglino, al suo arrivo a Milano, che si trova nel bel mezzo del tumulto e da spettatore osserva dubbioso la distruzione del Forno delle grucce.
Poi, facendo un salto, arriviamo alle cattedre ambulanti locali e alle pressioni del Duce che riuscì ad ottenere, nell’arco di sei anni, l’autosufficienza commerciale di produzione di grano in Italia. Ma tornando leggermente più indietro negli anni, fino all’immediato primo dopoguerra, troviamo episodi, fatti e collegamenti al grano che tracciano il profilo di una Nazione Unita senza ancora essere riuscita ad unire gli Italiani. E Corleto ne sa qualcosa, sia per aver contribuito al Risorgimento con la rivolta del XVI agosto 1860 sia perché i Corletani, sulla propria pelle, vissero le restrizioni economiche attraverso la requisizione del grano, il bene che se in alcuni posti veniva considerato bene di prima necessità qui, in queste alture del Sauro, rappresentava un bene di sopravvivenza.
E per stare alla cronaca dei fatti recenti ci troviamo a Corleto Perticara nella Piazza del Risorgimento, sabato 11 gennaio 2020 a parlare di Arte Bianca e della filiera del grano. Sempre per quell’impegno culturale che La Fenice sta portando avanti per elevare il tenore intellettuale della vita di questi piccoli paesi. Ci eravamo lasciati il 6 luglio 2019 a parlare della rivolta del grano e come una parabola balistica siamo atterrati nella piazza coperta a discutere delle declinazioni d’uso del prodotto di lavorazione del grano. Lo scopo dell’incontro era quello di valorizzare una professione che supporta e sostiene le attività alimentari, nel modo e nelle modalità di utilizzo di una materia fondamentale, anche se non più di sopravvivenza, per gli alimenti che tutti i giorni mettiamo sulle nostre tavole. Anzi, va detto, che l’uso dei derivati del grano non solo non rappresenta più una pratica di sopravvivenza ma in taluni casi un elemento di preoccupazione per via di quelle criticità che in altri tempi non se ne conoscevano gli effetti, o per ignoranza della materia o perché non vi erano spinte tecniche di produttività; quelle spinte tecniche che andavano, abbiamo sperimentato poi, a discapito della genuinità dei prodotti. Del resto, sarà anche solo per una questione psicologica, il vecchio e le cose vecchie, che ignorano la tecnologia agroindustriale, vengono ancora considerati indicatori di qualità del prodotto. Lo vediamo dai messaggi e dagli slang pubblicitari dei prodotti di nicchia che sovente associano a vecchie pratiche o a nonnine varie la garanzia di bontà e genuinità delle produzioni agroalimentari.
I tecnici, agroalimentari/nutrizionisti e agronomi intervenuti hanno sapientemente illustrato le varietà di grano e le varietà di farina, con gli eventuali effetti su chi ha un accertato grado di intolleranza verso prodotti contenenti glutine. In breve la cronaca della serata che va dai saluti della Dr.ssa Caterina Donnoli, presidente de La Fenice, agli interventi di Terenzio Bove che ha illustrato magistralmente la storia agronomica del grano e delle statistiche della sua produzione. Sono seguiti gli interventi della ricercatrice dell’Unibas, Maria Di Cairano che ci ha illustrato il panorama dei frumenti gluten free e del Biologo, Dario Vista che ha illustrato il panorama dei diversi tipi di farine che troviamo sulle nostre tavole, sfatando alcuni miti culinari. Il tutto coordinato dal Tecnico Alimentarista, Nicola Condelli fino alle conclusioni di Laura Mongiello quale presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari di Basilicata e Calabria. Ottima serata su un argomento che ai più pareva scontato e che invece si è rivelato, in tutte le sue sfaccettature di coltivazione e di utilizzo alimentare/culinario, tutt’altro che scontato e semplice.
A latere del convegno scientifico si è avuta la possibilità di visitare la mostra fotografica di Antonio Montano, che ci ha illustrato un mondo contadino faticoso ma verace e sanguigno che merita di essere raccontato. Appunto occorre, per stare a quel volo balistico cui accennavo sopra, riempire il segmento balistico o parabolico, ovvero il periodo che va dai fatti del tumulto del 11 luglio 1920 ad oggi, per spiegare il passaggio dallo status di bene di prima necessità a prodotto di filiera d’élite con tutte le sue declinazioni gastronomiche/culinarie. Le durezze e le asprezze di un’agricoltura che, dalla battaglia del grano lanciata da Mussolini visse anche una parvenza di benessere ma che dalla riforma agraria mai arrivata in queste calle dell’alto sauro, non ha tratto beneficio. Corleto, che ha una tradizione agricola ben più solida del circondario, ha il compito di rileggere i fatti che hanno determinato la storia di queste alture del Sauro, soprattutto ora che le produzioni agricole vengono collocate, in termini geopolitici, nel dintorno di uno dei centri petrolchimici più importanti d’Italia. I presupposti ci sono tutti per poter governare i processi e far sì che non si alimentino dicerie ed allarmismi dannosi per l’immagine di un territorio che ha già pagato tributi altissimi in termini di mancato sviluppo all’interno della già tanto pesante questione meridionale. Il nome dell’associazione che ha intrapreso questo percorso, perdonatemi se mi ripeto, è tutto un buon auspicio.
Gianfranco Massaro – Agos