Dall’analisi dell’elio può derivare un nuovo importante indicatore nello studio e nella comprensione dei terremoti: è la scoperta che deriva da una ricerca, condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV di Palermo, Dott. Antonio Caracausi) in collaborazione con un gruppo di ricercatori di cui fanno parte Matteo Picozzi, dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Michele Paternoster e Dario Buttitta, del Dipartimento di Scienze dell’Università degli studi della Basilicata, e Tony Alfredo Stabile, dell’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del CNR (IMAA-CNR, Tito). La ricerca, condotta nell’ambito del Progetto Fluids (finanziata su fondi PRIN2017-MUR), ha consentito di realizzare un articolo scientifico dal titolo “Earthquakes control the impulsive nature of crustal helium degassing to the atmosphere”, che è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Communications Earth & Environment – Nature”. I ricercatori, con uno studio multidisciplinare (geochimico e geofisico), hanno verificato che le variazioni nel flusso di elio in aree continentali sismicamente attive possono rappresentare un indicatore dei cambiamenti nello stress delle rocce coinvolte dalle faglie correlandolo così ai terremoti. I fluidi, presenti nella crosta terrestre, sono coinvolti nei processi che generano i terremoti e analizzandoli è possibile comprendere ciò che avviene all’interno del nostro pianeta. In particolare, l’elio (il gas nobile più leggero) è un ottimo tracciante per studiare tali processi compresi quelli che precedono i terremoti. La ricerca è stata condotta in Irpinia, l’area del terremoto del 1980. Utilizzando i dati del catalogo sismico degli ultimi 12 anni e le informazioni riguardanti i parametri di sorgente di migliaia di piccoli terremoti di magnitudo minore di quattro avvenuti nella stessa area, è stato possibile stimare il degassamento di elio radiogenico (crostale) rilasciato in atmosfera e confrontarlo così con i flussi di elio attraverso l’intera crosta. Le precedenti evidenze scientifiche, invece, erano relative solo a terremoti di elevata magnitudo, come quello di Kobe nel 1995 e di Kumamoto nel 2016 entrambi in Giappone di magnitudo non minore di 6. “Un’importante conseguenza di questo studio – ha detto il prof. Paternoster – è che il monitoraggio ad alta frequenza dei gas rilasciati dalla crosta in atmosfera è utile per definire e calibrare dei modelli concettuali, in grado di descrivere le relazioni tra degassamento dell’elio e volumi di rocce coinvolte nelle zone di faglie sismogenetiche, di conseguenza ciò potrebbe aiutare a ricostruire l’evoluzione spaziale e temporale di un terremoto”. Il dott. Stabile ha inoltre affermato che “l’approccio multidisciplinare di questo lavoro ci ha consentito di scoprire che anche i terremoti di bassa magnitudo possono modificare il degassamento dell’elio in atmosfera. La disponibilità di dati sulla microsismicità della nostra regione provenienti dalle reti dell’INGV, dell’IMAA-CNR e dell’UniNA, congiuntamente all’installazione di nuove stazioni geochimiche, consentirà di estendere lo studio anche in Basilicata”.