I gravi fatti di Pomarico ci riportano alla mente il disastro del Marzo 1973, del ché vi riporto un taglione del servizio giornalistico RAI del secondo canale.
La Basilicata è come una spugna e quando piove si imbeve; lievita come il pane. Le montagne di argilla quando diventano fango non reggono sulle gobbe i paesi. Qui la frana non è solo il picco che si sgretola, il pendio che rovina; la frana è tutto un manto che smotta verso valle. Le strade mutano di ora in ora, si accartocciano come la cartapesta, sono decine le provinciali devastate la grande arteria di fondovalle: la Basentana si è spezzata in più punti sotto l’urto del Basento in piena. La meno colpita è l’antica Appia, intatta la statale n° 19 costruita al tempo dei Borboni. I tecnici che hanno sorvolato la zona parlano di disastro geologico.
Il drammatico rapporto tra l’uomo e la terra è stato descritto da Manlio Rossi Doria: il basso Potentino, l’alto Materano, le medie valli del Basento, dell’agri, del Sinni e di tutti i loro affluenti, sono un territorio tormentato, desolato di nude argille che smottano, franano, che vanno al mare. E’ il regno quasi incontrastato della più dura fatica..
Potenza e Matera: i due capoluoghi di Provincia sono in gran parte città d’impiegati e di pensionati; buropoli del Sud. Non offrono molto alle generazioni nuove, possono anche contendersi il privilegio di diventare sede di una università statale ma ugualmente non sarebbero in grado di aprire uno sbocco valido per il domani alla massa Universitaria lucana che cresce di mille studenti ogni anno. La salvezza di queste città può essere solo nell’assunzione di un ruolo attivo nello sviluppo economico della Regione, come? Con l’industrializzazione, non c’è altra via. Il problema, dunque, è come far decollare la Basilicata e metterla al passo di regioni limitrofe come la Puglia e la Campania. In Basilicata sono state costruite grandi dighe, e imponenti opere di irrigazione. La riforma agraria non è stata, come in altre zone, un insuccesso, basti ricordare gli insediamenti nel Metapontino. Qui esistono le risorse fondamentali per lo sviluppo: l’acqua, l’energia elettrica, il metano. La Basilicata è uscita da un secolare isolamento ma non ancora dall’immobilismo.
Bisogna anzitutto fermare la sua gente, risolvere qui i suoi problemi, non nelle periferie di Torino e di Milano; occorre una volontà nazionale civilmente disposta a compiere questo sforzo d’intelligenza, perché di questo ormai si tratta, mentre continua la pena di quest’Italia che frana.
La Basilicata non si potrà Guarire più dai vecchi mali del territorio se non si arresta in tempo l’emorragia umana.
L’emigrazione non è certamente un fenomeno nuovo da queste parti, nei primi anni del secolo decine di migliaia di contadini e di artigiani partirono per l’America. Ora si è raggiunto il livello oltre il quale si rischia non solo la crisi economica e sociale della Regione ma il suo disfacimento geofisico, la rovina irrimediabile dei paesi. Siamo ad un passo dal punto di disgregazione del tessuto demografico, oltre il quale tutto il sistema, non solo quello produttivo, finirebbe per mettere in moto un meccanismo irreversibile di espulsione dell’uomo. Se l’intervento necessario per ricostruire l’economia di questa Regione non sarà immediato ed energico ogni prospettiva di ripresa verrà compromessa dalla mancanza di forza lavoro ed allora tutti i piani di sviluppo saranno inutili.
Questo narrava la voce fuori campo del servizio del TG2 nel marzo del 1973, mentre i contadini Lucani, in uno scorrere d’immagini recitavano, come un cammeo, la tragedia che devastò la Basilicata quarant’anni fa. Cambia la data, occorre aggiungere la parola Petrolio dopo la parola Metano e tutto sembra essere scritto e detto oggi a conferma di quell’immobilismo dal quale il contadino non è riuscito a liberarsi. La mia è, credo, l’ultima generazione che aveva come unico approccio alle notizie, oltre la stampa, la Televisione. Lo ha detto la televisione sembrava quasi a sancire la bontà e, talvolta, la veridicità di un fatto o di un accadimento ma anche di un comportamento. Poi sono arrivate le Radio Libere, il Web ed i social networks. Oggi si è aggiunta la parola Matera 2019 e mettiamoci pure la parola SATA, per il resto tutto sembra farci consapevoli che in quarant’anni le uniche cose che sono cambiate non sono servite ad incidere sulla sociologia di questo territorio. Pur tuttavia vogliamo ancora essere pronti (Parafrasando Rocco Scotellaro) ad entrare in gioco anche noi; con i panni e le scarpe e le facce che abbiamo.
Gianfranco Massaro –Agos