Prevenzione: il termine più in voga nell’immediato post calamità; la pazzia del clima non avrebbe generato i disastri che stiamo vedendo in questi giorni o quantomeno, non nella dimensione tragica che il popolo dell’Emilia Romagna sta vivendo sulla pelle viva, se qualcuno avesse pulito preventivamente i canali?
Invece vediamo un esercito di baldi giovani che, vanga in resta, spalano fango e morchia per le strade allagate dell’Emilia Romagna. Ma ora, però, pur appartenendo ai primi che hanno celebrato la bellezza di tanti “burdèl” (ndr. ragazzi in dialetto emiliano), ciò che non condivido è la frenesia da selfie. Sono belli, tanto che il fango che ricopre i loro abbigliamenti gli dona un fascino rustico ed autentico che li avrei abbracciati tutti. Ed è su questa autenticità che adesso incomincio a perdermi un poco. Perché fare il passa mani per spostare un secchio e svuotarlo ad una distanza di qualche centinaio di metri dà la misura della non corrispondenza alla remunerazione del processo se non inquadrandolo in un vantaggio per il bene comune.
Osservando il fenomeno capiamo bene che la genesi di tanto disastro sta principalmente in un rovescio d’acqua piovana che supera ogni aspettativa metereologica ovvero che entra nella sfera di ciò che potremmo definire cigno nero, cioè ciò che non ti aspetti ma che può succedere. Perché sono caduti 400 millimetri d’acqua in 48 ore a fronte di una media annuale di circa 700 millimetri. Come se di colpo qualcuno avesse rovesciato un grande secchio su un’area dove insistono paesi come Faenza, Rimini, Cesena; un po’ come facciamo noi quando dobbiamo liberare un condotto che fatica a svuotarsi e sversiamo un grosso secchio d’acqua affinché spinga il fagotto fino a sturarlo.
I canali dell’area Emiliana interessata dalle copiose piogge dei giorni scorsi, si son visti arrivare una quantità d’acqua tale che ha dovuto sturarli da ramaglie, detriti, ed ogni altra sorta di ostacolo che, ci piaccia o no, dobbiamo associare alla parola incuria. Ovviamente tanta acqua invece di sturare i canali li ha inondati in maniera tale che, con la lenta corrivazione dovuta agli ostacoli dell’incuria, si è riversata oltre gli argini travolgendo tutto ciò che l’uomo ha osato occupare per altre funzioni.
Dunque, cosa sarebbe successo se i canali, i fossi, i torrenti e le zone orograficamente vocate allo scorre dell’acqua non avessero opposto resistenza alla furia di tanta acqua riversatasi di “botto”? di sicuro molti danni, anche se in misura minore. Dobbiamo immaginarci, però, i nostri bellissimi “burdèl” in primavera ed autunno prendere d’assalto aree golenali, fossi e canali avviando volontariamente operazioni di pulizia spondale, rimozione di materiale in eccesso al fine di ripristinare e mantenere l’officiosità di fossi e torrenti. Oggi ci restano le immagini della “festosità”, quest’ossimoro che – nella tragedia – traspare dalle canotte infangate sui lineamenti sinuosi ed abbondanti di studentesse dal cipiglio colto, così come dalle galosce di giovanotti dai bicipiti mozzafiato, che, però, rimarrà un bel ricordo utile per i raduni amarcord quando ci si incontra in saloni addobbati scambiandosi le presentazioni della prole e dei coniugi mentre si racconta della propria vita professionale e di qualche acciacco dell’età.
Ora è il momento della riflessione da parte dei giovani, ed al ritorno nelle sedi di studio si spera trovino il tempo non solo per gli esami, pizze, birre ed Erasmus, ma anche per un impegno serio verso temi che la politica ha dimostrato di non saper trattare con l’urgenza che il mondo ci chiede. Occorre che i giovani tornino a far sentire la loro voce e ad invocare un cambiamento con la determinazione che si vide nel ’68, quando da una minigonna venne fuori un parapiglia che rivoluzionò la cultura e dalle manifestazioni una rivoluzione che ha lasciato il segno nella storia e nell’opinione pubblica, dell’epoca. Sono belli i nostri giovani, perché gli eroi son tutti giovani e belli, e ci aspettiamo gesti da eroi anche con le sempre abbondanti e sinuose canotte linde e profumate.
Gianfranco Massaro – Agos
(foto dal WEB e di Silvia camporesi)