Un romanzo storico di malagiustizia che restituisce dignità ad un figlio di 93 anni che ancora sa piangere dopo aver ricevuto giustizia per il padre.
Eppure qualcuno doveva ascoltarmi sembra l’espressione di uno sparuto cittadino che, con il cipiglio arrabbiato, racconta il suo girovagare tra i corridoi di un Palazzone della pubblica amministrazione per esprimere rimostranze o declinare istanze per ottenere un servizio.
Invece è il silente tormento di un uomo buono che, vittima dell’ignoranza, si trova catapultato in un vortice giudiziario che lo vede carcerato, reietto e considerato assassino. Lui è innocente, e lo sa per certo, ma ciò che conta è quello che viene fatto credere alla “giustizia” che lo ha valutato e carcerato.
Agostino Lacerenza sconta la sua ignoranza, quella tipica di ogni contadino dell’Italia Meridionale e dei quali si sono riempite pagine e pagine di storia antropologica.
È un romanzo di restituzione postuma della dignità ad un uomo semplice e “faticatore” che ha il culto del lavoro e della famiglia ma che, vittima della sua incapacità a farsi comprendere, resta avvinghiato in una storia di malagiustizia che lo porta, per amore della famiglia, a recidere i legami con la vita terrena conscio che eliminando la causa della vergona i figli potranno riavere la dignità che brutalmente la vita gli ha tolto.
Aurelio Pace scrive questa storia come un paroliere che deve costruire i dialoghi di uno sceneggiato pensato da altri ed al quale occorre dare un senso. Lo fa contestualizzando il linguaggio ai giorni nostri. Prende il fare ed il modus operandi di un contadino e lo anima con dialoghi, pensieri ed azioni. Ed il linguaggio odierno, che Pace mette nei dialoghi, è sì moderno e rispondente ai canoni della lingua fluente ma sempre ad un livello del registro che non si discosta da quello che potrebbe usare oggi il protagonista. E tutto avviene con una maestria tale che leggendo la storia sembra di assorbire le discussioni ma anche i soli pensieri di Agostino Lacerenza quando si interroga, nella solitudine del carcere, sul perché la sorte gli ha riservato tanta crudeltà e perché Cristo non lo ascolta e non interviene nella vicenda, lui che sa la verità.
Il libro ci riserva spunti per riflettere, attraverso l’analisi delle condizioni di una famiglia di contadini del Sud, sul come siamo e sul come “saremmo” potuti essere. Non mancano passaggi che fanno emergere la capacità delle persone semplici di saper sorridere e comparare la loro sorte a quella degli altri, sapendo, da Lucani, mantenere la sobrietà che li contraddistingue; ecco uno stralcio del dialogo con un notabile incontrato nel carcere, uno di quelli che sapeva maneggiare la lingua e la scrittura e, forse, anche la lettura: << “Figli ne hai?” “Cinque femmine ed un maschio”, ho risposto con un po’ d’orgoglio. “E sono i tuoi veramente?” Non ho risposto, non ho capito. “Io un figlio l’ho avuto, gli ho voluto bene. Da quando lo prendi in braccio gli vuoi bene ad un figlio. Ma se la donna che gli è madre ti ha nascosto il nome vero del padre, per campare e non diventare pazzo hai solo due strade: o merita di vivere lei o quel figlio che è la tua vergogna. E quel figlio colpe non ne aveva”. […]E ho capito pure che puoi avere la scuola, i soldi, la posizione e pure le corna. ..Intanto avevo imparato che le corna e l’ignoranza ti portano in galera>>. In un altro passaggio molto potente del racconto, l’autore ci mostra la vera protagonista della vita grama dei contadini: l’ignoranza. L’ignoranza che nel tecnicismo popolare torna molto utile, perché da ignoranti non ci si pongono interrogativi e così, meno cose si sanno meglio si sta. Invece Agostino scopre che l’ignoranza è una truffa e ce la restituisce, con la maestria del paroliere, l’autore quando ci riporta: << L’ignoranza è come l’ombra degli alberi grandi: sembra che ti tiene al fresco e invece ti leva la luce.>>.
E si avverte nel racconto il legame con Dio e Cristo che è invocato ma che non dà risposte: << [..] Cristo non parlava e gli uomini sì. E quando gli uomini e Cristo non dicono la stessa cosa un miserabile porta la croce>>.
È una storia di malagiustizia ma che nella voce e nella dignità di un uomo semplice, ignorante ma rispettoso del mondo, finisce per considerare tutto un argomento distorto per colpa degli uomini sbagliati. Perché Agostino è convinto che: << … non si può credere che la legge l’hanno scritta per l’ingiustizia. L’hanno fatta bene per metterla in mano a uomini fatti male. Questo è!>>
Di questo si è parlato, sotto l’egida della Pro Loco Corletana, presso la Piazzetta del Risorgimento Lucano a Corleto Perticara Sabato 07 ottobre 2023.
Gianfranco Massaro – Agos