L’attività di vendita di abbigliamento e calzature ha chiuso il 2024 con un calo medio del 4,2% rispetto al 2023, registrando un saldo nati-mortalita’ negativo di -6.459 punti vendita, pur rimanendo un fondamentale pilastro dell’economia e del Pil nazionale visto che 164.369 punti vendita che occupano 299.793 addetti. Sono i dati resi noti dal Consiglio nazionale di Federazione Moda Italia-Confcommercio. I saldi invernali 2025 hanno, peraltro, confermato un trend negativo dei consumi, segnando un -5,5%, con 6 imprese su 10 intervistate che hanno indicato una diminuzione delle vendite rispetto allo stesso periodo del 2024. Dunque – sottolinea Antonio Sorrentino, Federmoda-Confcommercio – neanche la stagione degli sconti ha risollevato le sorti dei piccoli negozi di quartiere, con il risultato che molti stanno scomparendo a vantaggio di grandi marche e attività commerciali di grandi brand trainate dagli stranieri che vengono in Italia. Eppure il Sistema Moda è un settore chiave per l’economia italiana, con un fatturato di 100 miliardi di euro e un universo di circa 53.000 aziende. Circa il 20% di queste sono piccole e medie imprese, che contribuiscono alla metà del fatturato complessivo del settore. Per la ripresa primavera-estate le aspettative sono per la fase dei matrimoni (in verità sensibilmente ridotti in Basilicata) e cerimonie di famiglia, oltre al ricambio abbigliamento e calzature con le temperature più calde.
“È evidente – afferma Giulio Felloni, presidente Federmoda – il rischio di desertificazione commerciale che corre il nostro Paese se si pensa che solo nell’ultimo anno, il commercio al dettaglio del settore moda ha perso ogni giorno in Italia 18 negozi, un dato che desta ulteriori preoccupazioni vista la perdita media degli ultimi 5 anni di 13 negozi al giorno con 23.322 negozi in meno e oltre 35.000 posti di lavoro persi. Se i consumi interni languono e i negozi chiudono, ci si deve chiedere quali imprenditori potranno effettuare nuovi ordinativi per la produzione Made in Italy e quali saranno le ricadute sull’intera filiera”.
Gli esercenti di negozi abbigliamento calzature individuano le cause della fase di difficoltà ed incertezza. Per prima cosa l’aumento dei prezzi che inevitabilmente ha comportato che il consumatore non si avvicinasse più con la stessa leggerezza, che aveva in precedenza, al bene da acquistare. L’acquisto di un prodotto costoso presenta indubbiamente difficoltà anche da un punto di vista psicologico. Altro fattore è la concorrenza, quella sleale, soprattutto da parte dei grandissimi gruppi e dal mercato online che molto spesso non rispettano le stesse regole dei negozi di vicinanza. Per sleale si intende che spesso non vengono pagate le stesse tasse, soprattutto con domicilio fiscale all’estero.
Ma – si sottolinea da Federmoda – si sta affermando una inversione di tendenza: rispetto a cliccare tutto il giorno su un computer, si entra in un negozio per provare un capo di abbigliamento. C’è poi il problema di ricambio generazionale: oggi chi ha un negozio cerca di disincentivare i propri figli e nipoti a fare lo stesso lavoro, perché purtroppo è troppo oneroso. Bisogna lavorare anche alla possibilità di incentivare i dipendenti di un negozio, non solo i familiari, a prendersi carico dell’attività.
Le proposte. Per garantire la crescita e migliorare la competitività, soprattutto in un contesto economico complesso come quello presente, è cruciale che le imprese investano in sostenibilità e innovazione. Anche la moda deve evolversi, cambiare seguendo le esigenze dei propri clienti. Questo è fisiologico. Ma non si può rimanere inermi. I negozi di vicinato e le botteghe storiche sono il nostro patrimonio culturale e creativo, un bene comune, l’anima di un territorio che meritano di essere tutelate per continuare a vivere.