di Michela Castelluccio.
Arriva quasi di soppiatto il nuovo disco di Nick Cave ed è ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, per la straordinaria bellezza struggente e quasi “alata”. Ghosteen, la prima traccia, che è anche il titolo all’intero album, ha in sé una tenerezza metafisica, il canto di tre orsi davanti alla TV: mamma orsa con in mano il telecomando, papà orso “fluttua nell’aria” e il piccolo orso che non c’è più, perché è andato via in barca, sulla luna. Riferimenti espliciti, quelli del cantautore australiano, al suo dolore per la tragica morte di suo figlio, precipitato da una scogliera, sotto effetto dell’Lsd. Perché non è più il Nick Cave di una volta, dall’indole terrifica e scostante; il predicatore spinoso ha cambiato pelle, in una catarsi che rivela tutta la drammaticità della sua esistenza di padre e artista. Un disco immenso, ove ogni dettaglio non è frutto di una trovata discografica, ma è una ricerca del sé più autentico, che porta ad innestare insieme il loop alla Scott Walker e gli echi di Kisagotami, la protagonista di una delle più belle parabole del buddismo. Kisa era moglie di un ricco commerciante, disperata per la morte di sua figlia e, per questo, alla continua ricerca di qualcuno in grado di aiutarla. Allora un anziano le disse che aveva visto il Buddha e gli aveva suggerito che se lei avesse voluto salvare la propria bambina avrebbe dovuto trovare semi di senape bianca in una casa in cui non fosse morto mai nessuno. Così, la donna iniziò a girare di casa in casa, ma non riusciva a trovare una famiglia che non avesse perso almeno un familiare. “Everybody’s losing someone, it’s a long way to find peace of mind (tutti stanno perdendo qualcuno, per trovare la pace nella mente la strada è lunga)”, canta Cave. Allo stesso modo, Kisagotami alla fine realizzò come nessuno fosse immune alla morte. Ci troviamo di fronte ad un’antica lezione sull’elaborazione del lutto e l’universalità della morte. Le canzoni nella prima parte del disco – afferma Cave – sono le figlie; quanto alla seconda parte, invece, vi sono tre canzoni, ovvero sono i genitori. Il riferimento è alla trinità e sappiamo che il cantautore australiano ha più volte intrecciato la figura di Gesù alla sua poesia in musica. Questa volta il riferimento va anche alla pietà di Michelangelo: infatti, nella traccia Night Raid una madre è colta nell’atto di tenere suo figlio morto tra le braccia. Ritroviamo un intreccio di figure simboliche: La Madonna, Kisagotami, papà orso; Nick Cave si sente parte di loro perché hanno tutti perso un figlio. “Una stella è solo la memoria di una stella/ Siamo lucciole che pulsano debolmente nel buio/ Noi siamo qui, tu dove sei?” qui in questo brano, in qualche modo, c’è il segno di un brillio in Nick Cave, che lascerà spazio ad una luce espansa con il brano Waiting for You; è cioè la luce salvifica della sua donna, l’unica che può trarlo in salvo dal precipitare nell’abisso. Quella luce è nella copertina del disco, come a formare una sorta di Eden, lo stesso che accoglierà il suo bambino dopo aver lasciato paletta e secchiello per volare verso il sole, mentre Nick Cave canta:“È un lungo cammino/ la ricerca della pace mentale/ Ed io sto aspettando il giorno in cui arriverà la mia pace”.