Da molto tempo mi frullava nella testa una storia legata ai lunghi viaggi, alla strada, alla follia di una libertà che si conquista mordendo la strada. Per andare dove? Non si sa, ma bisogna purtuttavia andare, diceva il protagonista di On The Road, Sal Paradise alias Jack Kerouac. E pensando ciò, mi ritornava alla mente oltre ai film Cult americani, On The Road e Easy Reader, una canzone locale, popolare che mi riporta alla mia infanzia: Ciccillo u Viaggiatore. Scritto, musicato e cantato da Gino Volpe.
Ed il caso vuole che mi trovi al tavolo conviviale di amici e colleghi di un’avventura giornalistica dell’entroterra Lucana tenendo di fronte il maestro Gino Volpe. Gino parla con gli altri amici mentre io discuto di altro, quando ad un tratto la mia attenzione viene catalizzata dal racconto del Maestro Volpe. Racconta di come si trovò a vivere a Napoli quando frequentava il conservatorio e di come recuperava risorse economiche suonando nelle trattorie e nei locali partenopei.
Distratto con lo sguardo ma attento con l’orecchio ascolto come lui cerca di trasmettere la sua passione ai ragazzi che stanno al mio lato. Racconta del fatto che credendoci si possono ottenere, in ogni campo, i risultati agognati e si può elevare il livello del contesto sociale in cui si vive. É bello sentire una persona, ormai a risposo dal punto di vista lavorativo, che cerca di trasmettere valori così alti, spiegando di come si possa aspirare al meglio quando nelle cose che si praticano si mette impegno, passione e voglia di imparare e migliorarsi sempre.
Ma io vengo sempre attratto dal titolo del brano: Ciccillo u viaggiatore, perché ricordo quando da ragazzino osservavo alcune signore locali che ballavano; sanguigne, con cosce e fisici muscolosi e sodi, tipici delle campagnole. Esatta iconografia della Sant’arcangiolese che Franco Rosi ci restituisce nel suo Film, tratto dal romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli. Me le ricordo ballare, dopo risate scompisciate all’ascolto dell’incipit di “Ciccillo u Viaggiatore”, il brano che il disco a 45 giri girava sul giradischi della radio a transistor modello Augusta. Scalze, con gonne lunghe e sottane bianche che si sollevavano alle giravolte; ballavano loro, donne e donne, in mezzo alla strada davanti le case pavimentate con basole di pietra bagnate d’acqua e candeggina per tenere le mosche lontane. Era il momento del trapasso tra il 1960 ed il 1970, la rivoluzione culturale era partita, i giovani rivendicavano diritti e libertà culturali che sbalordivano gli anziani. Ma la voglia di libertà era partita già nell’immaginario di Gino Volpe, l’anno 1961, che faceva viaggiare Ciccillo, non si sa perché ma purtuttavia viaggiava per il meridione, per l’Italia tutta e per l’estero. E il bello era sentire, nell’incipit del brano, la voce di Ciccillo e quella di Commara Giovannina con il solo uso del diaframma e delle corde vocali, senza distorsori o sintetizzatori. E lì, dopo aver riso e sorriso per la scenetta esilarante, partiva la tarantella suonata alla fisarmonica con una maestria che fa capire perché ancora oggi Gino Volpe spinga i giovani a mettere passione nelle cose che praticano e che fanno.
Si rammarica per avere le mani un po’ sofferenti dall’artrosi ma che, per fortuna, suonano ancora per via di quella forza di volontà che sta’ dentro la Passione. Siamo avanti in Basilicata, pur non essendo americani, da oltre cinquant’anni. Per questo la felicità di aver incontrato un maestro del calibro di Gino Volpe la volevo condividere con tutti i lettori della gazzettadellavaldagri, con la speranza che i giovani trovino spunti per non demordere mai quando praticano attività con passione, e che non smettano mai di viaggiare per il mondo seminando la Lucanità ma tornando qui, dalle varie “commare giovannina”, per riportare novità ed a decantare meraviglie di un mondo che non è più tanto lontano come lo era sessant’anni addietro e che solo la capacità di menti eccelse poteva immaginare. Grazie Maestro Volpe per aver anticipato i tempi e per aver alleviato la vita di borghi e contrade con la tua musica, facendo ballare intere generazioni di braccianti, contadini e lavoratori che trovavano rinfranco nei balli attorno ad un giradischi dopo lunghe giornate passate al sole nelle lande aride di una Basilicata troppo spesso dimenticata.
Gianfranco Massaro – Agos