Questa è la storia di un parco nazionale, oggi commissariato, nato in ritardo e già morto tra le pastoie burocratiche di uno Stato latente, una classe politica corrotta e gli interessi economici delle compagnie petrolifere. È una storia che proveremo a raccontare, in più fasi, seguendo i passaggi che hanno caratterizzato quasi un trentennio di incomprensioni, omissis, negligenze, ritardi e che hanno fatto slittare la reale costituzione del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese. Dalla sua istituzione con la Legge Quadro sulle Aree protette (la n.394/91, articolo 34 “Istituzione di parchi ed aree di reperimento”, comma 2), alla Legge n.426/98 su “Nuovi interventi in campo ambientale”; dalla perimetrazione finalmente approvata dal Consiglio regionale della Basilicata nella seduta del 19 dicembre 2002 (deliberazione n.552), allo schema d’Istituzione del Parco rimasto per anni senza la firma del presidente della Repubblica: sono queste alcune tappe di una vicenda lunga e spigolosa.
La mancata costituzione del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, negli anni – oltre ad arricchirsi di particolari salienti – si è spesso ingarbugliata. Nel cercare di districare pazientemente il bandolo della matassa, facendo affiorare il peso che ogni singolo attore sociale ha avuto nella mancata istituzione dell’Ente, sono emerse le seguenti ipotesi:
1) Le compagnie petrolifere sono state attratte in Val d’Agri perché hanno fiutato un grande affare: non solo la possibilità di nuovi investimenti nell’estrazione del greggio ma, soprattutto, l’occasione di spendere i 3 mila miliardi di vecchie lire di finanziamenti stanziati dallo Stato per la ricerca di idrocarburi. Nonché, una volta radicatesi in Val d’Agri, le multinazionali del petrolio hanno ostacolato con vere e proprie azioni di lobbing nei confronti delle istituzioni nazionali e locali la costituzione del parco nazionale;
2) Le comunità locali della Val d’Agri non hanno avuto interesse a spingere per la costituzione effettiva del parco perché allettati dalle promesse delle compagnie petrolifere attraverso il risarcimento delle royalties. Al contempo, le comunità locali del Lagonegrese non hanno avuto alcun interesse in quanto il parco non è stato ritenuto un valido modello di sviluppo, ma unicamente un vincolo, in primis, per lo sviluppo dell’edilizia urbana;
3) Gli amministratori locali, per ignoranza, indolenza, disinteresse, pressioni nazionali, interessi da preservare non hanno spinto per il parco, ma in senso inverso;
4) Contro il parco sono nate piccole lobby, come quella dei cacciatori, che a seconda delle circostanze sono state strumentalizzate dai vari attori che si opponevano alla nascita dell’area protetta;
5) La maggior parte delle comunità locali ha avuto una percezione distorta del parco;
6) Si è verificata la tendenza ad escludere le zone vallive dalla perimetrazione dove sono maggiormente presenti insediamenti umani e produttivi. Escludendo le aree estremamente antropizzate il parco è divenuto un “parco delle alte quote”, comprendendo tra l’altro aree già protette;
7) Il ruolo svolto dalla burocrazia nell’imbalsamare le politiche sul parco nelle pastoie e nei meandri degli uffici dell’amministrazione pubblica;
8) L’atteggiamento ostile nei confronti del parco da parte del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, durante la gestione del ministro Altero Matteoli e di molti altri ministri dell’ambiente dopo di lui, interessato maggiormente a compiacere gli interessi di Eni, Esso, Total Fina Elf e Entrerprise Oil.
NONOSTANTE TUTTO, LA NASCITA
Il 9 giugno 2006, nel corso di una seduta del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, fu approvato un decreto presidenziale che istituiva il Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese ed il relativo Ente Parco e definiva le finalità di conservazione e valorizzazione dell’area, nonché le linee di sviluppo economico e sociale, ecologicamente compatibile, delle comunità locali interessate. Sull’istituzione del parco fu acquisita l’intesa con la Regione Basilicata.
I COMUNI DI UN PARCO CHE NON C’È
Il territorio interessato è l’area sud della Basilicata che si distingue in due zone: la Val d’Agri e il Lagonegrese. I comuni delle due zone costituiscono due mondi sociali completamente differenti.
La Val d’Agri si trova a nord del Lagonegrese ed è una zona interna dove, in passato, sono stati tentati anche interventi strutturali attraverso l’industrializzazione dell’area della Val Basento. Oltre alle cime è presente una zona valliva di pianure. Conta circa 70 mila abitanti. È ben collegata con Potenza, il Metapontino e, quindi, la Puglia. Per questo si predilige il rapporto con le popolazioni ad est, anziché quelle del Lagonegrese. Il tessuto socio-economico della Val d’Agri è stato sconvolto dalla scoperta del grande giacimento petrolifero che ha portato un mutamento strutturale, fisico, sostanziale dell’area dal 1999 ad oggi. Si pensi al Centro olio di Viggiano e all’oleodotto Viggiano-Taranto che trasporta il greggio dall’attività produttiva di estrazione all’attività di raffinazione ed imbarco. L’oleodotto percorre metà Basilicata: dal suo cuore alla costa jonica-lucana, fino in puglia, a Taranto.
Per questo, la Val d’Agri, dalla stipula del Protocollo d’intesa Stato-Regione del 7 ottobre 1998 e del Protocollo d’Intesa Eni-Regione del 18 novembre 1998 si è candidata a diventare il primo centro produttivo della Basilicata scavalcando gli stabilimenti della Fiat-Sata nati intorno a Melfi e l’industria del salotto materano.
È stato calcolato, infatti, che le riserve petrolifere del giacimento della Val d’Agri e dell’Alto Sauro possono soddisfare fino al 20 per cento del fabbisogno nazionale, arrivando a produrre un serbatoio energetico di oltre 900 milioni di barili, corrispondente ad un valore complessivo delle risorse stimabile, ai prezzi attuali, in circa 20 miliardi di euro. Considerato che il fabbisogno energetico nazionale è stato, al 2002, pari a 186 milioni di tonnellate equivalenti di olio, di cui il 49 per cento coperto dal petrolio, e che la produzione complessiva di idrocarburi in Italia è stata, nel 2000 di 380 mila barili al giorno (290 mila di gas naturale e 90 mila di greggio), si comprende agevolmente in quale misura l’entità della produzione di quasi 150 mila barili al giorno, contribuisca alla tenuta del bilancio energetico del Paese.
La ricaduta economica in termini di benefici sulla popolazione locale è stato motivo di grande dibattito conclusosi nella seduta del 15 novembre 1999 del Consiglio regionale della Basilicata, con l’approvazione del “Piano di utilizzo del Fondo per lo Sviluppo delle attività economiche e l’incremento produttivo ed industriale della Val d’Agri” con la legge regionale n.40/95.
Dal Protocollo d’Intenti Eni-Regione si evince che sull’estrazione quotidiana di petrolio in Basilicata l’Eni destina una certa percentuale del guadagno giornaliero alla Regione, che a sua volta investirà tali fondi nell’infrastrutturazione della Val d’Agri, della Val Camastra e dell’Alto Sauro, nonché nel rilancio del polo industriale della Val Basento. Ma il “miraggio” delle royalties è rimasto tale in termini di occupazione e sviluppo.
Il Lagonegrese, invece, si trova nell’area sud della Basilicata, incastonato tra Campania e Calabria. È ben collegato con queste ultime attraverso la Salerno-Reggio Calabria (Autostrada del Mediterraneo, già Autostrada del Sole), ma soffre l’isolamento dal resto del potentino e il non poter condividere la territorialità con il basso Cilento e la vicina Calabria. Soffre, soprattutto, la mancanza di attività produttive e di un polo industriale. Conta poco più di 35 mila abitanti, ha un fortissimo tasso di disoccupazione, uno dei PIL pro capite più bassi d’Italia e lo spopolamento dei centri attraverso l’emigrazione è il fenomeno sociale più evidente insieme all’alto tasso di suicidi. Il Lagonegrese è una delle zone più depresse d’Italia. L’unica fonte di reddito sicura è il “mattone”, l’unico investimento realmente utile è l’edilizia.
Come appare evidente la Val d’Agri e il Lagonegrese hanno due realtà sociali completamente diverse e lontane tra di loro. Muovendoci in questi due contesti abbiamo individuato alcuni attori sociali protagonisti della vicenda Parco per ambedue le zone.
IL DIBATTITO INTORNO AL PARCO PIÙ GIOVANE D’ITALIA
Il Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese è l’area protetta più giovane d’Italia. Un parco che per molti anni non c’è stato, pur essendo stato istituito dalla Legge Quadro del 1991.
Questo ha portato, inesorabilmente, ad un evidente ritardo nell’implementazione delle politiche sul parco, ad azioni disgiunte delle amministrazioni locali coinvolte (chi ha optato per entrare nell’area protetta, chi ha scelto di starne fuori), a perimetrazioni a macchia di leopardo.
Ne è scaturito, nel tempo, un dibattito conflittuale, ma anche negoziale, prodotto nelle comunità locali intorno alla perimetrazione ed alla zonizzazione interna delle aree protette – dibattito vivo non solo in Italia ma anche in molti contesti terzo-mondiali – che sta lì a significare proprio l’esistenza di una territorialità politico-sociale sulla quale si confrontano interessi materiali, appartenenze sociali e territoriali, pratiche bio-ambientali.
FONTE: TERREDIFRONTIERA.IT