di Annachiara Latorraca
Un film già visto e rivisto quello cominciato con la cattura di Matteo Messina Denaro, e terminato con la solita retorica nei commenti da parte di alcuni rappresentanti delle Istituzioni: “Lo Stato ha vinto e la mafia ha perso”.
Eppure, non si riesce a provare la commozione tipica e necessaria per quello che dovrebbe essere un finale dal clamore storico.
Sembra solo un grigio sipario calato sulle ombre dei dialoghi intavolati tra la mafia e le Istituzioni. Qualche tempo fa, Salvatore Baiardo, pentito di mafia, in un’intervista rilasciata su La7 a Massimo Giletti, aveva riportato la volontà del Messina Denaro, di costituirsi a causa delle sue gravi condizioni di salute.
Poco tempo dopo, all’alba di una piovosa mattina palermitana, si lascia catturare l’ultimo stragista di Cosa Nostra, mentre si recava a sottoporsi alle cure chemioterapiche, dovute a un tumore al colon, in una clinica privata, come un cittadino qualunque, dalla tempra mite ma dal polso miliardario.
Un latitante super ricercato, che si era accomodato talmente tanto alla normalità dei suoi movimenti, da concedersi a scatti fotografici con l’equipe di medici che lo seguivano e che assolutamente, a loro dire , non hanno riconosciuto i tratti somatici del pluriomicida, il cui volto ha tappezzato per 30 anni l’Italia e l’Europa, ma hanno riconosciuto in lui solo “Una persona perbene”.
È davvero una buona notizia che un latitante trentennale, che svolgeva tra l’indifferenza e l’omertà la sua vita, ed in ultimo la sua malattia, sia stato catturato solo ora?
Toni trionfalistici appaiono eccessivi, un boss di tale calibro non avrebbe mai arrestato così improvvisamente la sua ferocia. La realtà è che Matteo Messina Denaro si è consegnato allo Stato, senza neanche fingere di essere la persona di cui utilizzava l’identità.
Lo Stato è andato a prenderlo senza ricorso alla violenza e alle manette, spot necessario per un paese democratico.
“Quando sarò ucciso- diceva Borsellino- sarà stata la mafia ad uccidermi, ma saranno stati altri a volere la mia morte”.
Un patto Stato-Mafia mai indagato e scongiurato fino in fondo che sembra tornare d’attualità: un uomo, il Messina Denaro, che non poteva più reggere le responsabilità da capo clan di Cosa Nostra, consegnato dai suoi “fratelli” allo Stato, che a sua volta, secondo i più maliziosi, avrebbe già pronta sul tavolo istituzionale la contropartita dell’abolizione dell’ergastolo ostativo che potrà essere preparatorio alla liberazione di qualche mafioso meno strutturato.
Tutto questo,senza che Matteo Messina Denaro possa tradire mai il patto di sangue corleonese, non collaborando con quel lembo sfibrato di vera giustizia, che fatica a non soccombere.
Un sillogismo che, qualora trovasse riscontro nella realtà, farebbe tremare e che dovrebbe portare ad indagare nella mente degli uomini che indossano la divisa e la toga, ancor prima di mettere le manette alle mani dei mafiosi.