A guardare la contemporaneità in cui siamo immersi, nella sua oggettiva quanto esponenziale tendenza all’omologazione e all’appiattimento, prossima alla scomparsa di distinzioni qualitative e identitarie, ci si chiede se abbia ancora un senso il confronto tra Oriente ed Occidente. Certamente, in questa confusione di “orientamento” c’entra il diffondersi, maggiormente tra gli occidentali, di una spiritualità che vuole tra-vestirsi (per moda) da orientale e che ha finito per confondere il vero con il falso. Vi è un aspetto, in particolare, in questo tentativo di confronto, che può divenire assai utile alla trattazione e riguarda le due diverse concezioni su corpo, mente e malattia. In generale, se l’Occidente punta alla precisione, all’analisi e alle terapie mirate; l’Oriente pone al centro il sistema mente-corpo e le cure volte ad armonizzarlo.
Ma vediamo nello specifico come avviene nei due differenti casi. Nella nostra fetta di mondo-ovest, la medicina è specialistica: i medici si focalizzano sul singolo organo, in un colloquio di pochi minuti, durante i quali il medico rileva i sintomi e prescrive gli esami per quel determinato apparato. Dai risultati del laboratorio discende la diagnosi medica, completando, così, quanto è emerso durante il colloquio. Nei paesi del Sol Levante, invece, il medico tradizionale considera sempre la persona nel suo complesso, includendo nelle valutazioni anche l’aspetto psicologico e avendo come guida l’idea che corpo e mente non possano essere separati. Accade che, nei colloqui, i medici pongano molte domande su abitudini, orari e stili di vita, nonché sulla funzionalità intestinale, gastrica e urinaria. Molto in voga, in Oriente, è la diagnosi del polso, utile non per valutare il ritmo cardiaco, ma per percepire eventuali squilibri tra i diversi sistemi fisiologici. Va sottolineato che oggi, anche la medicina orientale si avvale delle analisi mediche, ma i risultati ottenuti, a differenza dell’Occidente, sono soltanto un’integrazione rispetto a quanto rilevato attraverso il dialogo con il paziente e la valutazione del sintomo. Ciò significa che il sintomo è centrale per gli orientali, poiché fa capire cosa non vada nell’intero organismo e i disturbi, quindi, non si associano all’alterazione di un solo organo. A questo punto è lecito chiedersi: tra i due mondi quali differenze sussistono nelle cure? Il nodo si scioglie su questo aspetto, in quanto, nonostante il merito dei medici d’Oriente di indicare ai pazienti ritmi biologici, al fine di incidere prima di tutto sui loro stili di vita (es. rispettare gli orari del sonno e dei pasti), poco raccomandabile è l’avvalersi di diversi prodotti naturali a base di erbe o ricorrere a terapie quali la meditazione, l’agopuntura, i massaggi ayurvedici e gli esercizi di respirazione, mirate a ridurre lo stress e a ripristinare l’equilibrio tra corpo e mente. Si deve ammettere, dunque, che sebbene l’Occidente non si dedichi, forse, in giusta misura ad una maggiore attenzione dell’aspetto psicologico del paziente o anche alla giusta prevenzione ed a una modifica degli stili di vita; è fondamentale riconoscergli il grande merito di puntare a cure su base scientifica: mediante farmaci, azioni molto specifiche, circoscritte ed assai efficaci che nulla hanno a che fare con le false promesse della “medicina alternativa” del Sol Levante. A questo punto, è allora il caso di dire “in medio stat virtus” (la virtù sta nel mezzo), come insegna Aristotele, vuol dire che è da ricercare un dialogo tra le due tipologie di medicine che sia finalizzato al benessere della persona e giammai al prestigio dell’una o dell’altra scuola.
– di Michela Castelluccio