La mancata proroga della moratoria sulle estrazioni di idrocarburi, approvata nei giorni scorsi dal Governo nazionale, è un bel regalo di fine anno per i petrolieri e una brutta notizia per tutti quelli che ritengono la transizione energetica in Italia non più procrastinabile.
La norma sul progressivo abbandono delle trivellazioni di gas e petrolio in Italia, proposta dal Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, andava nella giusta direzione della decarbonizzazione della nostra economia, richiesta dall’Europa con l’European Green Deal e soprattutto con lo strumento Next Generation EU, che assegna all’Italia nel suo complesso 209 miliardi di euro (il 37% da destinare ad azioni per il clima). L’emendamento, alla fine, non è entrato nel testo ufficiale del decreto Milleproroghe approvato dal Consiglio dei ministri e ciò contraddice palesemente le scelte green del Governo concordate con l’Europa, considerato anche che lo stesso Governo, con l’ultima Legge di Bilancio, continua a fornire ingenti sussidi, ambientalmente dannosi, al settore delle fonti fossili.
Nella sostanza, se nei primi mesi del 2021 non ci saranno nuovi provvedimenti, potranno riprendere le attività di ricerca e prospezione di petrolio e gas su tutto il territorio nazionale. Attività sospese per 24 mesi a partire da febbraio 2019 (cioè a partire dall’entrata in vigore della Legge 12/2019 conseguente al Decreto Semplificazioni 135/2018) con scadenza fissata, appunto a febbraio 2021. La stessa legge 12/2019 prevedeva anche, però, che in questi 24 mesi si sarebbe dovuto approvare il cosiddetto PiTESAI (Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee) di cui invece non c’è traccia. Questo significa che in tempi molto brevi, non solo si potrà ricominciare a trivellare, ma lo si potrà fare in assenza di un quadro definito di aree “non idonee” e aree “idonee” e, in queste ultime, senza, come invece previsto, una strategia di accompagnamento verso la decarbonizzazione.
“Sono evidenti a questo punto – dichiara Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata – i rischi derivanti da tale condizione per una Regione come la Basilicata sulla quale, tanto per iniziare, insistono 16 permessi di ricerca su oltre il 25% del territorio regionale. In sostanza esiste il pericolo concreto di ripiombare completamente nel secolo scorso, un salto nel tempo nell’era delle fonti fossili, mentre il mondo parla di rinnovabili e decarbonizzazione”.
“Pertanto Legambiente – continua Lanorte – ribadisce la richiesta al Governo di varare una moratoria nazionale e il progressivo abbandono delle estrazioni di gas e petrolio, come fatto dalla Francia nel 2017, ricordando peraltro i vantaggi economici della creazione di una filiera economica per lo smantellamento, la bonifica, il recupero e il riuso dei materiali delle piattaforme e dei pozzi a terra e a mare, che assicuri la giusta transizione verso un’economia verde”.
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“Le fonti fossili – afferma Lanorte – sono la principale causa dei cambiamenti climatici. La loro combustione per produrre energia elettrica e termica, nella mobilità e in tutti gli altri usi sono infatti responsabili di oltre l’80% del totale delle emissioni climalteranti. Uscire dal loro utilizzo a favore di un sistema energetico sostenibile è indispensabile e prioritario. Per contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C a livello mondiale è necessario almeno dimezzare l’attuale livello di emissioni entro il 2030, azzerandolo entro il 2050”.
“Pertanto, in un quadro nazionale coerente con questo scenario – sostiene ancora Lanorte – chiediamo che anche la Basilicata faccia la sua parte coltivando in pieno l’ambizione di realizzare la sua transizione energetica sulla base di una rivoluzione tecnologica e digitale in cui si operi per l’efficienza energetica di edifici pubblici e privati, si realizzi una infrastruttura energetica basata sulle energie rinnovabili e al 100% carbon-free con istallazione di tecnologie di accumulo energetico, si incentivi l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili integrate in micro-reti locali, si investa sul trasporto elettrico e la mobilità automatizzata, si favorisca l’autoproduzione da rinnovabili e lo scambio di energia fra utenze vicine attraverso la creazione di comunità energetiche”.
“Bisogna determinare subito – conclude Lanorte – le condizioni per costruire la riconversione produttiva del settore oil&gas in Basilicata, avviato comunque verso una crisi inesorabile, fondando la transizione sulla creazione di distretti bioenergetici e di bioeconomia circolare per lo sviluppo di bioprodotti, bioenergie e fonti rinnovabili, produzione di idrogeno verde in connessione con il settore automotive, con l’obiettivo di un incremento delle prospettive occupazionali. In quest’ottica peraltro è possibile prevedere in Basilicata un contesto favorevole in relazione alla opportunità di riconversione almeno parziale di impianti, competenze e professionalità già esistenti nell’attuale e obsoleto settore petrolchimico, verso un modello produttivo legato al comparto della chimica verde e strettamente connesso alle specificità del territorio”.