Quando anche i numeri confermano le sensazioni e le paure, allora l’incubo può diventare davvero realtà.
Un’epidemia strisciante di ignoranza, odio e superficialità che ha colpito, oramai da tempo, la Repubblica Italiana.
Il risultato che vien fuori dall’ultima indagine dell’Eurispes in merito alla “Shoah” ed ai crimini del nazifascismo, è davvero raccapricciante:
il 15,6% degli Italiani nega il genocidio ebreo compiuto da Hitler, con la complicità attiva delle forze dell’ Asse. Nel 2004, rispetto allo stesso quesito, la percentuale di risposte di questo genere si attestava al 2,4%.
Il 19% degli Italiani, nel 2020, considera Mussolini un ottimo leader.
Questi numeri certificano che oramai, quasi un italiano su cinque è affascinato da pulsioni antidemocratiche e reazionarie arrivando perfino a negare verità storiche che fino a pochi decenni fa parevano indistruttibili.
Sarebbe davvero interessante indagare il ceto sociale, il tenore di vita, il background culturale e di istruzione di questi cittadini italiani.
La sensazione di chi scrive è che, considerate le percentuali, il fenomeno revisionista e reazionario non riguardi unicamente i gruppi sociali più in difficoltà, i cosiddetti “arrabbiati”, gli “esclusi”, quelli che hanno subito le conseguenze più dure della crisi economica o coloro i quali hanno dovuto fare i conti con il fenomeno “Immigrazione – Integrazione”, soprattutto nelle periferie delle grandi città (e non solo.)
E’ evidente che c’è dell’altro: qui siamo di fronte ad un pericolosissimo abbaglio storico.
La narrazione mainstream dell’ “Equidistanza”, la pessima “Equiparazione” generalista e senza senso tra “Nazifascismo” e “Regimi Comunisti”, votata a maggioranza dal Parlamento Europeo con il tragico parere favorevole di diversi eurodeputati della Sinistra Italiana, rappresenta di fatto la resa culturale a chi vuole mettere in discussione i valori democratici su cui è stata ricostruita l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Le responsabilità culturali
Ciò che allarma di più, tornando a quanto scritto in precedenza, è questa tendenza alla riabilitazione delle fasi più oscure della nostra storia.
Quando il 15,6% degli Italiani nega la Shoah ed il 20% spende giudizi e valutazioni positive sul Duce, significa che non è soltanto un problema di Istruzione o di ignoranza. La verità è che tanti, nel mondo della cultura e delle professioni in generale, non fanno più mistero di mostrare simpatia per questo tipo di posizioni.
Qual è la ragione di questo ?
Risulta evidente il fatto che, negli ultimi vent’anni, una parte importante del mondo dell’informazione abbia giocato molto sul progressivo allentamento del rispetto dei valori Costituzionali.
Fior fior di comunicatori e giornalisti, ad urlare e a raccontare in prima serata davanti a milioni di telespettatori i “Crimini della Resistenza” oppure a parlare di superamento di “Destra e Sinistra” o peggio ancora ad asserire che, in fondo, il “Ventennio” fosse pieno anche di “cose buone” da ricordare e da mettere in pratica per il futuro.
Questo revisionismo, somministrato a piccole dosi ma costante e assolutamente ignorato da chi avrebbe dovuto difendere i valori democratici della nostra Repubblica, ha raggiunto in poco tempo tutti i suoi obiettivi:
- Generare confusione all’interno dell’opinione pubblica utilizzando la crisi economica ed il fenomeno migratorio come grimaldello sociale attraverso cui uccidere definitivamente gli anticorpi culturali della nostra Democrazia.
- Aprire la strada alla società del conformismo, del controllo e della paura.
- Oscurare il glorioso sacrificio di chi ha versato il proprio sangue per garantire la Libertà delle generazioni future.
A tutto questo si unisce la fragilità della Scuola Pubblica Italiana, con insegnanti che fanno sempre più fatica a raccontare con completezza e possibilità di approfondimento quella fase decisiva della nostra storia.
Molto spesso sono proprio i nuovi programmi ministeriali a non agevolare la conoscenza e la capacità di analisi critica di ogni studente rispetto agli eventi fondativi della Repubblica Italiana.
Quanti studenti oggi conoscono le Culture Politiche che misero da parte le legittime differenze per costruire l’Italia Libera?
Quanti hanno mai sentito parlare di brigate partigiane composte da donne e uomini di diverse idee politiche uniti dallo stesso desiderio di Pace e Libertà?
Azionisti, Repubblicani, Cattolici Democratici, Socialisti e Comunisti dalla stessa parte per garantire l’esistenza di un futuro lontano dalla violenza e dalla barbarie.
Come sarebbe bello riscoprire, anche culturamente, lo spirito unitario della Resistenza.
Responsabilità Politiche
Proprio come negli anni venti del secolo scorso, le forze reazionarie, con la complicità decisiva del modello economico liberista, costruiscono le loro fortune elettorali e di gestione del potere sull’incapacità da parte delle forze progressiste di rielaborare una cultura politica in grado di riaffermare con i fatti l’orgoglio antifascista e democratico.
E’ chiaro che si è arrivati a questa situazione per mezzo di diversi errori e leggerezze imperdonabili da parte della Sinistra Italiana.
Nel 1989, dopo il crollo del muro di Berlino e la conseguente fine della “Cortina di Ferro”, l’intuizione dei Comunisti Italiani di cambiare nome per mettere in campo una forza politica in grado di declinare quella storia e quei valori all’interno di un contesto nuovo, globale, poteva avere le sue ragioni.
Il tema è che la fine della grande contrapposizione ideologica tra USA e URSS, dunque di un confronto reale, quotidiano tra due modelli produttivi differenti, ha lasciato campo libero al famoso assunto di matrice Thatcheriana: “There’s no alternative.”
Non c’è alternativa al modello economico liberista, alle sue peggiori distorsioni, alla riduzione dello stato sociale, al conformismo ed all’individualismo sfrenato come unico metro di valutazione delle relazioni interpersonali.
All’interno di questo contesto, le forze progressiste e democratiche avrebbero dovuto provare a raccontare una storia diversa, quantomeno in grado di mitigare lo strapotere liberista, offrendo nuovi orizzonti di speranza.
Questo non è accaduto, al contrario, i progressisti, soprattutto nel corso degli anni 90’, si sono “accomodati” culturamente sul liberismo.
In Italia, anche quando essi erano investiti di responsabilità di governo, hanno dimostrato miopia nella lettura dei fenomeni sociali in evoluzione: il precariato, la frammentazione dei diritti, un mancato controllo degli effetti distorsivi della globalizzazione, sono responsabilità da attestare in primo luogo al ceto politico dirigente post-comunista di centrosinistra.
Venendo all’attualità, la crisi economica, l’esplodere del fenomeno migratorio hanno ulteriormente evidenziato l’inadeguatezza di queste politiche aprendo la strada al populismo di destra ed al vero e proprio neofascismo.
Proliferano “Leader Carismatici” e “Uomini Soli al Comando” che promettono soluzioni semplici a problemi complessi. Le nuove destre sguazzano all’interno di questo grigiore, l’aggressività della loro politica si rafforza giorno dopo giorno.
L’odio diventa funzionale alla creazione del consenso: la responsabilità di una qualsivoglia problematica sociale complessa si attribuisce un giorno all’immigrato, un altro all’omossessuale, un altro ancora addirittura al Cinese “potenziale untore”.
Conclusioni
All’interno di questo contesto, per tornare all’inizio di questa riflessione, bisognerebbe ritrovare l’orgoglio delle nostre radici antifasciste e democratiche.
Gli appelli contro l’odio e contro la violenza da soli non bastano, è necessario offrire una prospettiva credibile di cambiamento.
Si è credibili soltanto se si fanno seguire le azioni alle parole, se si ha il coraggio di dimostrare che costruire le basi valoriali di un nuovo umanesimo è possibile.
Tutto questo resta pura chiacchiera se non c’è l’ambizione di cambiare gli equilibri economici e di benessere collettivo di una Comunità. Per farlo, serve una nuova classe dirigente in grado di recuperare il senso dell’appartenenza alle Istituzioni, consapevole dell’enorme rilievo del tema della rappresentanza all’interno di una democrazia parlamentare.
L’impressione è che il tempo a disposizione per intervenire sia sempre meno, lo spettro della barbarie è dietro l’angolo.