Non so chi abbia avuto l’idea di impegnare le risorse del servizio civile per realizzare un lavoro di ricerca sulla storia del Pane. “Dal grano al pane ovvero Nel nome …del pane”. Un idea fantastica, capace di affondare le mani nei riti e nelle attività sociali più profonde della storia, dall’archeologia e fino ai tempi nostri con tutte le scalate evolutive che la produzione di un alimento così importante ha rappresentato e rappresenta per l’uomo.
Per stare ai tempi nostri, il pane è ormai diventato un prodotto di nicchia e non più un prodotto primario, quasi fuori dalla riga bassa della piramide dei bisogni. Il lessico quotidiano ha quasi abbandonato lo slang dell’uomo “diligente e buon padre di famiglia” che si adopera e si industria per “portare il pane a casa”. Oggi ha svariate declinazioni: dal pane in cassetta, di segale, al sesamo, farcito di noci etc.etc. e finanche senza glutine e, forse, senza farina. Le esigenze di produzione e le aspettative industriali per soddisfare domande di produzioni sempre più elevate hanno spinto la scienza agronomica e biologica a sperimentare grani e filiere produttive di farine sempre più rifinite e lavorate fin tanto che il pane non si fa più con la farina di grano duro o di grano tenero ma con MIX di grani e di farine sempre più “speciali”, fino al gergo paesano, che ne accorcia il concetto, di “Farina americana”.
Tutta questa evoluzione, che per volere o per distrazione, si è allontanata dalla filiera genuina che produceva il prodotto definibile “il re della tavola” ci ha traghettato ai tempi nostri. Ovviamente il declino è iniziato con il “boom economico” e nel periodo che biblicamente potremmo definire delle vacche grasse. Nell’antichità le evoluzioni si discostavano, dal precedente, quel tanto che bastava a rendere meno faticosa la produzione e più sicura la disponibilità della materia prima. Poi l’uomo ha scoperto il capitalismo e la necessità di una crescita continua ed il resto è storia recente. Panifici (il forno) non più sotto casa ma dentro contenitori enormi che vanno sotto la nomenclatura di “centri commerciali”; e così al tempo del confinamento (periodo Covid) tutti scoprimmo la passione per il lievito, per la farina, per le focacce e per il pane fatto nel forno della cucina.
Oggi, siamo talmente stanchi che le storie dei nostri nonni le viviamo non solo con nostalgia e per cultura del mondo che ci ha generato, ma con profonda nostalgia di un fare genuino, sano e privo di orpelli che nei casi più estremi si manifesta come “allergia o intolleranza”.
“Il Forno” aveva anche una funzione sociale; luogo dove le donne – che non frequentavano, al pari dei maschi, i barbieri, le cantine o i tabaccai – si riunivano per discutere della giornata e delle vicende rionali, e di rimando, con un fenomeno di triangolazioni del pettegolezzo, anche dei fatti di altri rioni e, dunque, dell’intero paese. Si setacciavano fatti ed accadimenti di altre famiglie. Si analizzavano gli status del ménage familiare e della prole, ma senza mai abbandonare la disponibilità all’aiuto ed al sostegno in caso di necessità; si pettegolava dei fatti dei vicini di casa ma in caso di bisogno “quei vicini” potevano contare sull’aiuto sincero e concreto di tutti. “Il forno”, al pari del lavatoio pubblico, era il luogo dove si parlamentava e si discuteva dell’andazzo paesano.
Il lavoro della Pro Loco Corletana ha reso questo servizio a tutti noi: farci conoscere e riconoscere la nostra storia per compararla con le dinamiche sociali odierne e trarre insegnamento dalla frugalità dei nostri avi.
Ora, per stare alla serata di presentazione, bisogna fare i nomi di chi, come Federica Fasano, archeologa innamorata della sua professione e del luogo che ha scelto per la sua vita, ci ha mostrato l’archeologia di un aspetto vitale per l’umanità. Anna Teresa Lapenta, etnoantropologa, che ci ha illustrato l’importanza dell’evoluzione della società, attraverso la filiera del grano, e della carissima Francesca Lombardi, rappresentante del Comune che ha scelto l’agricoltura come sua attività imprenditoriale dando valore alle produzioni agricole locali. E poi, la Prof.ssa Rosa Fortunato che da responsabile del Servizio Civile della Basilicata ha saputo cogliere l’importanza del progetto, valorizzando l’attività dei giovani che hanno scelto l’esperienza del volontariato civile per dedicarsi ad un lavoro che possiamo definire di vera ricerca storica. Antony Gallo, come sempre, alla guida di un veliero che nel processo di gestione della vita associativa naviga nel mare agitato dell’UNPLI, e ad ogni approdo ci regala eventi di grande spessore culturale.
La serata si chiude con gli sbandieratori del “Gruppo Bernaudi”, i “Bottari di Macerata Campania” e con stand gastronomici che manco a dirlo offrono prodotti tipici della produzione locale derivante dalla filiera del grano: Scrippedde (ndr – ciambelle fritte) con nutella e, nella versione più antica e popolare, con zucchero o tal quale.
Il libro verrà presentato nei paesi coinvolti dal progetto e, si spera, nei tanti luoghi deputati a produrre eventi culturali.
Da Corleto Perticara 07.09.2024 _ Gianfranco Massaro – Agos