Continua l’attività di Ulderico Pesce nel portare in giro la cultura attraverso il teatro. Ma possiamo osare tranquillamente e dire che porta in giro la conoscenza, facendola penetrare nei meandri di una Regione che dovrebbe di per sé non dimenticare il proprio valore. Il Lucano ha un approccio timido al suo valore ancor di più se lo deve posare sulla sua storia. Pesce, lontano dal tempo dei Carri di Tespi, gira per i Paesi raccogliendo gente di buona volontà che timidamente si accosta ad un teatro che narra la storia e le origini – riflettendo nel divenire dello spettacolo – proprio di chi sta in platea. Ma stiamo al fatto; Pesce sta riproponendo la sua narrazione della Basilicata, delle lotte contadine, dei momenti peggiori di miseria e di emigrazione, e del periodo di massima speranza nell’immediato dopoguerra; una speranza che a tratti veniva disillusa da un nuovo potere “democratico” che forte della rendita di posizione seguitava a prevaricare su quanti nulla chiedevano se non un pezzo di pane per sostenere la famiglia. Dunque: questa volta Ulderico Pesce ci parla, con la verve del mattatore teatrale, di Rocco Scotellaro, e lo fa raccontandoci i “racconti” del Sindaco Poeta. Ci descrive la disperazione di Ciccio Chironna attraverso la quale si eviscera la “condizione” di un’intera popolazione e di una “condizione” di velata prevaricazione da parte di una classe di gattopardi che dentro il cambiamento avvenuto nel dopoguerra riuscì a tenere ben salda la presa sui loro interessi, inflessibili di fronte ai bisogni dei più deboli.
Ma che lascia alla platea il tempo che si è dedicato ad ascoltare la storia dei contadini del sud? Lascia la consapevolezza che la Basilicata ha ancora tremendamente bisogno di recuperare la sua storia. La storia di quelle iniziative che avrebbero potuto far cambiare “il corso di una storia” che non cambiò mai o che cambiò lentamente. La storia di Ciccio Chironna, Pesce, ce la racconta con una velata comicità che quasi ci si prende gusto; come fai a non sorridere di fronte alla spettacolare descrizione della classe prima elementare dove, in prima fila, siede il figlio del Sindaco, il figlio del Farmacista ed il figlio del Prete. Ciccio va a scuola con gioia sua e dei genitori e pur stando in ultima fila, per via della sua origine contadina, spunta voti molto superiori a quelli del figlio del Prete, e riesce pure a prendersi gioco di lui facendogli ostentare i suoi magri e mediocri voti di fronte ai suoi brillanti “ottimo” e “bravissimo”, e con un tiè accompagnato dal relativo gesto dell’ombrello, che sembra voler riscattare una intera classe di bambini come lui, fa sorridere tutto il pubblico. Ma non è altro che la rincorsa, non è altro che un prendere fiato per prepararsi alla forte emotività, dove nessuno riesce a trattenere le lacrime, quando poi ci traghetta alla fatalità che vide morire troppo giovane Rocco Scotellaro; stroncato a soli trent’anni da un infarto; spezzando le speranze di una intera classe contadina. E come si fa a trattenere la lacrima di fronte al disperato pianto di una madre che accarezza i capelli del figlio mentre è disteso sul marmo freddo dell’obitorio. E qual è il merito di Ulderico Pesce? È, a mio parere, quello di mantenere viva la fiammella della memoria di una storia recente che ci appartiene. Di quella memoria cui ogni Lucano ha da confrontarsi, perché la storia della Lucania è fatta di terra, di proprietari terrieri ma soprattutto di contadini che nelle difficoltà hanno dato origini a tanti benestanti che grazie ai sacrifici di Nonni, Bisnonni e genitori hanno potuto studiare. E quasi sempre è molto più rinomato il benestante che viene dalle fondamenta bracciantili piuttosto che dalle fondamenta facoltose.
Ancora una volta Ulderico Pesce, insistentemente, vuole farci riflettere sulla bellezza di questa terra che, vittima di fatalità e di congiunture sfavorevoli, vive come d’appendice alle Regioni che la stringono in un abbraccio che, se non vigilato, può rivelarsi fatale.
Gianfranco Massaro – Agos