La percentuale è solo dello 0,2% delle possibilità, ma esiste: secondo una nota dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione ‘A. Faedo’ del Cnr, l’impatto sulla Terra della stazione spaziale cinese Tiangong-1 è previsto per il giorno di Pasqua , il 1 aprile 2018, alle 10.25, ora di Greenwich, dunque le 11.25 in Italia, e potrebbe coinvolgere parte del’Italia, in particolare la zona compresa tra l’Emilia Romagna e Lampedusa. Nella nota viene illustrato in che modo avviene il rientro, quali sono i rischi e dove potrebbero finire i frammenti. Ma né la traiettoria esatta del rientro né il punto d’impatto sono però ancora certi: solo 36 ore prima della caduta si avremo maggiori informazioni sull’area che potrebbe essere interessata. E, nel caso fosse l’Italia, la conferma ci sarà con un preavviso sull’eventuale impatto attorno ai 40 minuti.
Tiangong-1 è stata la prima stazione spaziale cinese, lanciata in orbita il 29 settembre 2011. Nel novembre dello stesso anno è stata raggiunta e agganciata dalla navicella Shenzhou-8 senza equipaggio, mentre i primi tre astronauti sono saliti a bordo, trasportati da Shenzhou-9, nel giugno 2012, trascorrendovi 9 giorni e mezzo. Il secondo e ultimo equipaggio di tre astronauti si è agganciato alla stazione, con Shenzhou-10, nel giugno 2013, trascorrendovi 11 giorni e mezzo.
Da allora Tiangong-1 ha continuato a essere utilizzata, senza equipaggio, per effettuare una serie di test tecnologici, con l’obiettivo di de-orbitarla, a fine missione, con un rientro guidato nella cosiddetta South Pacific Ocean Unpopulated Area (SPOUA), una specie di cimitero dei satelliti in una zona pressoché deserta dell’Oceano Pacifico meridionale. Purtroppo, però, il 16 marzo 2016, il centro di controllo a terra ha perso la capacità, pare in maniera irreversibile, di comunicare e impartire comandi al veicolo spaziale. Nei due anni trascorsi da allora, Tiangong-1 ha perciò perduto progressivamente quota. E a giorni precipiterà sulla Terra senza controllo, non potendo essere più programmata un’accensione dei motori per un rientro guidato.
La stazione spaziale consiste approssimativamente di due moduli cilindrici montati uno sull’altro: quello di servizio, con un diametro di 2,5 metri, e quello abitabile, con un diametro di 3,4 metri. La lunghezza complessiva è di 10,5 metri. Su lati opposti del modulo di servizio sono anche attaccati, perpendicolarmente all’asse di simmetria dei cilindri, due pannelli solari rettangolari, larghi 3 metri e lunghi 7 metri. Quando è stata lanciata, aveva una massa di 8506 kg, di cui circa una tonnellata di propellente per le manovre. Nel corso della missione una parte significativa del propellente è stata consumata e gli equipaggi, durante le loro permanenze sulla stazione, hanno consumato buona parte delle scorte di cibo, acqua e ossigeno stivate a bordo.
Non si tratta di un evento eccezionale: i rientri senza controllo di stadi o satelliti con una massa superiore alle 5 tonnellate avvengono, in media, una o due volte all’anno. In oltre 60 anni di attività spaziali nessuno è mai rimasto ferito per il rientro incontrollato di un oggetto artificiale dall’orbita terrestre. Si parla di rientro nell’atmosfera – spiega il Cnr – quando l’oggetto scende a 120 chilometri di quota. Da quel punto in avanti l’attrito dell’aria diventa sempre più significativo, e le strutture esposte di grande area e massa contenuta, come i pannelli solari e le antenne sporgenti, possono staccarsi tra i 110 e i 90 km di altezza. Il corpo del satellite, dove è concentrata gran parte della massa, rimane generalmente intatto fino a 80 km di quota.
Solo in seguito, a causa dell’azione combinata delle forze aerodinamiche e del riscaldamento prodotti dall’attrito dell’aria, la struttura principale si disintegra e i singoli componenti si trovano a loro volta esposti alle condizioni proibitive dell’ambiente circostante. Gran parte della massa si vaporizza ad alta quota, ma se il satellite è sufficientemente massiccio e contiene componenti particolari, come serbatoi di acciaio o titanio e masse metalliche in leghe speciali, è possibile la caduta al suolo di frammenti solidi a qualche centinaio di km/h. I frammenti precipitano su un’area lunga dagli 800 ai 2.000 chilometri, e larga circa 70 chilometri. Su Tiangong-1 sono ancora presenti circa 3 quintali e mezzo di propellente usato per le manovre.
Nel caso, improbabile, che si verifichino delle esplosioni ad alta quota durante il rientro, alcuni frammenti potrebbero quindi essere proiettati lateralmente anche a un centinaio di chilometri di distanza dalla traiettoria originaria.
Per Tiangong-1 i rischi potenziali sono di due tipi: meccanico e chimico. Il rischio meccanico è quello derivante dall’urto di frammenti massicci a elevata velocità con veicoli in movimento, strutture vulnerabili e persone all’aperto. Quello chimico dipende dal fatto che, sulla base delle nostre stime, dovrebbero trovarsi ancora a bordo, non sappiamo se allo stato liquido o solido, circa 230 chili di tetrossido di azoto e 120 chili di monometilidrazina, sostanze molto tossiche.
È comunque difficile che ne arrivi a terra anche una piccola frazione, ma una contaminazione residua di alcuni frammenti non può essere completamente esclusa a priori, per cui, nel caso qualcuno si imbattesse in uno di essi, sarebbe prudente non avvicinarsi, evitare qualsiasi contatto, tenere lontani i curiosi e limitarsi ad avvertire le autorità.
FONTE: REPUBBLICA.IT