La settimana scorsa è stato pubblicato, su questo giornale, un articolo dal titolo “cosa può fare la Val d’Agri per smettere di parlare male di se stessa?”.
Al di là del contenuto dell’articolo, che sicuramente ha un grande valore, ciò che si mette in risalto è soprattutto l’esigenza di cercare di dare risposte a una comunità che soffre ancora del dramma dell’autocommiserazione. E le condivisioni meritate sui social dimostrano che non siamo insensibili a queste problematiche.
Poi, dopo qualche giorno, viene diramato un comunicato che denuncia una presunta “censura” di una persona invitata (Violeta Benini) a partecipare ad un’assemblea di istituto al Liceo G. Peano di Marsico Nuovo (dove insegno). Io per primo sono rimasto basito. Ma come, mi sono chiesto, un luogo (la scuola) in cui bisogna promuovere il pluralismo, il confronto e la crescita, agisce in questo modo? Il fatto mi sembrava tanto più insolito perché da quando sono al Liceo abbiamo sempre garantito questo diritto.
In questo articolo, però, voglio tralasciare le dinamiche, che possono essere lette in molteplici modi. E ovviamente non mi cimenterò nella tediosa ricostruzione dei fatti.
Concentriamoci invece sulla reazione di molte persone, pronte a tirare fuori espressioni come “Medioevo”, “bigotto”, “indignazione”, “i docenti sono ignoranti”, e così via. In pratica, a gettare fango su quanto si cerca di proteggere e preservare con amore e dedizione: la scuola. Si può anche sbagliare in alcune scelte, per carità siamo umani, ma ciò che mi pare davvero raccapricciante è, in realtà, il “medioevo” delle reazioni, anche da parte di chi vorrebbe approfittarsi della scuola per questioni personali, o di certi genitori ai cui figli è sempre stata garantita accoglienza, sostegno, presenza. Soprattutto, il vero medioevo sta nel giudicare senza approfondire, nel parlare senza effettivamente avere vagliato tutti gli elementi, e quindi senza conoscere realmente i fatti, nel dare sfogo alle proprie rabbie probabilmente soltanto per avere qualche minuto di “celebrità” virtuale.
Io, almeno, la vedo così.
Vi invito dunque a riflettere su una cosa: che tipo di esempio credono di aver dato, coloro i quali hanno subito cercato di dare sfogo alle loro pulsioni (forse anche erotiche) di protagonismo? Che messaggio è stato trasmesso ai ragazzi e alle ragazze, le vere vittime di quanto è successo? A mio avviso, si è persa un’altra occasione per approfondire, capire, ponderare e poi, eventualmente, esprimere il proprio parere su un argomento. E allo stesso tempo si è trasmesso un messaggio di superficialità, del tipo “basta che scarico un po’ di rabbia, butto un po’ di fango, e mi prendo i like che legittimano il mio pensiero”.
Altro aspetto. Molte volte, a causa anche di questa società così spesso caotica e contorta in cui ci ritroviamo, crediamo di poter avere un argomento su ogni cosa, di essere in grado di dire la nostra in qualsiasi materia. E’ come se io avessi la presunzione di entrare in classe mentre il mio collega di Matematica (che io non insegno) spiega e gli dicessi che sta sbagliando tutto, che così non si fa, che non è all’altezza. Nella maggior parte dei casi, però, trascuriamo il fatto che quando non abbiamo avuto a che fare in maniera diretta con qualcosa, forse dovremmo avere l’umiltà di non giudicare, e di rimanere al posto nostro. Oppure, reitero, di approfondire e poi parlare.
Come direbbe Platone (scusate la deformazione professionale), una società giusta è quella in cui ognuno riconosce e accetta il proprio ruolo. Anzi, una siffatta società non è soltanto giusta, ma funziona alla perfezione. Tuttavia, Platone stesso ha descritto questa società in maniera “ideale”, consapevole del fatto che nella realtà sia difficile da realizzare. E anche in questo caso abbiamo confermato che aveva ragione. La confusione che nasce dalla presunzione di poter giudicare anche di ciò che non ci compete, è un ulteriore esempio del fatto che le ingiustizie avranno vita lunga. Che una società “sana” è una mera utopia. A tutti coloro che, nascosti dietro ad uno schermo, hanno sputato sentenze in maniera così superficiale e scriteriata, vorrei chiedere: lo sapete voi cosa significa insegnare? Lo sapete cosa significa gestire un istituto dove bisogna dar di conto a oltre cinquecento famiglie (non oso immaginare le scuole con oltre duemila iscritti)? Lo sapete che ogni giorno, per chi ama questo mestiere, è una sfida per far apprezzare, magari appassionare, quanto si insegna? Siete a conoscenza dei meccanismi delicati che stanno alla base del corretto funzionamento di una scuola? Attendo le vostre risposte. Nel frattempo, però, cerchiamo di prenderci cura di quel poco che resta della scuola pubblica.
Piuttosto che prendervela con questi pochi cimeli che restano ancora vivi in valle, e che lottano per resistere, andate a prendervela con chi nega una sanità adeguata, un futuro per i giovani (che tra qualche anno saranno quasi tutti altrove alla ricerca di quanto viene negato dall’incompetenza e l’autoreferenzialità di molti “amministratori”), con chi vi ha promesso cambiamenti che non si vedono ancora, e di sicuro non si vedranno, con chi inquina questa valle (in tutti i sensi). Soprattutto, indagate a fondo prima di parlare, cercate di capire e poi, visto che ne avete il diritto, esprimete il vostro giudizio. Invece, in questo modo, non si è dato un bell’esempio educativo alle giovani generazioni. Perché ciò che stanno percependo è il livore, l’incompetenza, la superficialità.
Edgar Morin (filosofo francese) ha pubblicato un post poco fa in cui dice: “bisognerebbe cercare un vaccino contro la rabbia specificatamente umana perché siamo in piena pandemia”. Ho detto tutto.
Finiamola qui, e almeno da parte mia vorrei trasmettere un messaggio positivo alle ragazze e ai ragazzi di questa valle: cercate di trarre un insegnamento anche da questo (spiacevole) episodio. Cercate di essere diversi, almeno voi, in futuro. Cercate di evitare di sparare a zero su ogni cosa o fatto, soprattutto se non conoscete a fondo le dinamiche reali che lo hanno generato. Impegnatevi a diventare uomini e donne che amano davvero la propria terra. Siate la speranza e la forza di un vero cambiamento che col tempo, magari, ci porterà a non parlare più male di noi stessi.
Francesco Petrone è autore del libro “Le vene della mia terra”, romanzo ambientato in Val d’Agri.