Un estrosissimo cantautore Italiano cantava: “se me lo dicevi prima – ma come prima, io ho bisogno ora di lavorare – ma lavoro il lavoro e mica il lavoro, bisogna saperlo prima che dopo non c’è lavoro, prima capito! – cioè ho capito che quando uno sta male bisogna arrangiarsi da solo”.
Questo cantava Enzo Jannacci circa trent’anni addietro. Ma ovviamente non poteva sapere che oggi a Tempa Rossa c’è gente che non lo sapeva prima che sarebbe rimasto senza lavoro.
Se, è la congiunzione che funge da trappola per l’uso del condizionale/congiuntivo nell’introdurre un periodo ipotetico. Quindi quei lavoratori che sono stati al freddo, a scioperare sperando in una soluzione, potrebbero dire:
– Se me lo dicevate prima sarei emigrato in Belgio quando mi chiamò mio cugino, per dirmi che c’era un’occasione di lavoro irripetibile per me che sono bravo a guidare i mezzi; invece di sperare di poter restare nella mia regione.
– Se me lo dicevate prima avrei continuato a sforzarmi di prendere il diploma ed ora magari sarei ragioniere; invece di farmi allettare dal salario mensile che mi ha allucinato consentendomi di comprare la moto.
– Se me lo dicevate prima avrei continuato a fare il gommista, e forse oggi avrei un bel garage magari con un aiutante.
– Se me lo dicevate prima avrei continuato ad aiutare mio padre nei lavori di campagna, forse oggi avrei un bel gregge e chissà anche un piccolo laboratorio per latticini locali di qualità.
Questi ragazzi hanno anche la facoltà di dire “se sarei emigrato” oggi non sarei disoccupato, ma chi si candida alla guida di un popolo no! E non solo per obbligo verso la grammatica Italiana.
Il politico ha il dovere, direi l’obbligo di programmare e vedere l’orizzonte verso cui sta guidando il territorio. Ed è questo il mio rammarico verso la politica. Che, a voler spezzare una lancia in favore, troppo spesso è vittima di una spirale burocratica dentro la quale ogni provvedimento che dovrebbe e potrebbe dare la stura a fenomeni virtuosi di apertura di nuovi cantieri e nuove occasioni di lavoro, si avvita per via di un decentramento di poteri che assume sempre più forma di scalone da superare piuttosto che cristallo di trasparenza. La politica ha la colpa di aver talmente abusato in passato, che oggi deve sviluppare atteggiamenti filtrati dentro apparati burocratici che dovrebbero garantire una trasparenza troppo spesso vituperata e li, nei meandri di questi apparati, voluti e dovuti per recuperare credibilità, che si impantana ogni azione che la gente comune non riesce più a spiegarsi.
Ma fuori da ogni ipotesi e incomprensione delle dinamiche della burocrazia pubblica ci viene da pensare:
– Se si fosse completato il programma di viabilità oggi sarebbe pronto il grande cantiere di costruzione della strada Lauria – Candela dove poter allocare le maestranze esodate da Tempa Rossa?
– Se il programma di consolidamento dei centri abitati e di sistemazione idraulica delle aste fluviali fosse partito, oggi avremmo cantieri edili che potrebbero impiegare le maestranze di Tempa Rossa?
– Se fossero partiti i lavori per l’ammodernamento delle ferrovie?
– Se si fosse fatto qualche marciapiede in meno o qualche copertura di campi di calcetto a vantaggio di qualche infrastruttura intercomunale ci sarebbe speranza per tanti carpentieri, muratori, manovali e manovratori dell’edilizia?
Dare la colpa alla Total significa deviare l’attenzione verso responsabilità che dovrebbero cadere su altri soggetti. Ci voleva scienza per leggere il crono programma del cantiere di costruzione del centro olio di Tempa Rossa? La fine del cantiere era scritta a chiare lettere ed era anche chiaro che alcune maestranze non avrebbero mai potuto raggiungere quella posizione per essere riallocate all’interno del meccanismo industriale ad avvio della coltivazione mineraria. E poi occorre anche dire che le infrastrutture servono, ed oltre ad allocare la manodopera non più utile a Tempa Rossa avrebbero costituito quella leva per lo sviluppo che c’è da troppo tempo nei programmi politici. Occorre definitivamente sdoganare i finanziamenti dai programmi che devono servire per sostenere lo sviluppo e portarli al rango di investimenti per far si che si crei lo sviluppo. In questa sottile crepa che fa da confine tra ciò che serve per sostenere una condizione e ciò che serve per creare una condizione bisogna saper tirar fuori tutta l’intellighenzia che un policy maker deve o dovrebbe avere per pretendere il voto di un popolo attento. Ma – è mia sensazione – credo che l’accordo sottoscritto vada in tutt’altra direzione, ovvero nella direzione che mantiene ancora la domanda di lavoro in un ambiente “monopsonistico”. Se non alziamo gli occhi e non pretendiamo di vivere in un ambiente dove sia possibile ricercare lavoro in maniera indifferenziata, continueremo a leggere la cronaca sindacale come nei giorni scorsi, e non c’è da stare sereni; men che meno allegri.
Gianfranco Massaro – Agos