Certo che da quando si è unita nel contorno geografico con i confini politici a forma di stivale, gli intrighi, le mezze verità e le verità nascoste hanno caratterizzato la vita dell’Italia fino ad oggi. Dalla calata dei mille, capeggiati da Garibaldi, fino ai giorni nostri, proseguendo con un susseguirsi di vicende misteriose che hanno caratterizzato quella sorta di cultura dell’indicibile.
Ma quello che rappresenta la vicenda del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, credo, sia insuperabile per via di quella considerazione che ci porta a pensare che l’Italia sarebbe stata un’altra Italia senza quei fatti e nonostante altri fatti di cui ancora si rincorre la verità. Dai moti di Reggio Calabria, alla strage di Piazza Fontana, alla Bomba di Piazza della Loggia, al treno Italicus, al treno deragliato a Gioia Tauro, alla stazione di Bologna fino a Via dei Georgofili, Via Fauro, San Giovani in Laterano ed altre simili azioni che sono state riunite sotto il nome di “strategia della tensione”.
Giovedì due gennaio 2020 a Viggiano, presso il Polifunzionale, Ulderico Pesce ci parla del Caso Moro e dei cinquantacinque giorni che cambiarono l’Italia. Scritto a quattro mani con Ferdinando Imposimato, Giudice istruttore del Tribunale di Roma che seguì il caso del sequestro e dell’uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana. La formula dello spettacolo è quella cui Ulderico Pesce ci ha abituati: un racconto di un protagonista diretto dei fatti. Questa volta i fatti ce li racconta il fratello minore di Raffaele Iozzino, uno degli agenti della scorta di Aldo Moro trucidato dal commando che in Via Fani il 16 marzo 2019 alle ore 9:05 assassinò tutti gli agenti della scorta e rapì l’onorevole Moro.
La storia è quella che tutti conosciamo, purtroppo. I contorni sono sempre più sbiaditi e man mano che passano gli anni assumono la forma di un confine sempre più sottile tra una storia triste di lotta armata ed una storia triste di intrighi internazionali. I Brigatisti Rossi agirono per un farneticante disegno di cambiare il mondo con la lotta armata, ma, man mano che il racconto va vanti, si evince che i “Brigatisti Rossi” altro non erano che inconsapevoli autori di un disegno molto più grande di ciò che le ideologie dell’epoca avrebbero potuto immaginare. Troppe coincidenze, troppe sviste, troppe lacune hanno fatto si che qualcuno ha ritenuto di dover affondare le mani e gli occhi in carteggi sedimentati in faldoni impolverati dentro stanze buie dei Palazzi di Stato, inanellando nella giusta cronologia i fatti che cambiarono la storia ed il volto dell’Italia.
Ciro, alias Ulderico Pesce, inizia a raccontarci del fratello e della sua semplicità, del suo orgoglio d’appartenenza al gruppo di scorta dell’onorevole, che lui stima e che spera sia eletto Presidente della Repubblica. Lo fa con la delicatezza e l’emotività che un ragazzo di quindici anni può avere nei confronti del fratello più grande. Gli spettatori sentono gonfiarsi il nodo alla gola e piano piano avviene un’immersione negli anni che cambiarono il volto all’Italia. Ci si trova dentro quel fragore di colpi, di pistole e di mitragliette; quasi si annusa l’odore della polvere sollevata da quel terrificante trambusto di Via Fani alle ore 9:05 del 16 marzo 1978. La storia si dipana, poi, attraverso il dolore di una mamma che perde le forze e la ragione per poter continuare a sorridere ed a vivere ripetendo come una litania: il dolore della morte di un figlio ti consuma lentamente; e poi prosegue con la forza di un ragazzotto che vuole capire. Perché ha preso coscienza che solo studiando li “possiamo fottere”; solo studiando possiamo capire. Ciro ci accompagna nei meandri di una storia troppo ingarbugliata, che attraverso le perplessità di un giudice istruttore diventa cronaca di fatti inenarrabili.
Figuri dei servizi segreti e di reparti speciali delle forze armate che stranamente si trovano in Via Fani poco prima o poco dopo il sequestro, sviste e smarrimenti di prove fondamentali ci introducono nel buio di una vicenda che, a mio parere, rappresenta ancora la pagina più scura della storia dell’Italia Repubblicana. Ciro vuole capire; e attraverso il Giudice Istruttore scopre che pezzi dello stato hanno assunto decisioni che di certo non hanno aiutato le indagini. Indagini che furono affidate a Ferdinando Imposimato dopo circa dieci giorni dal ritrovamento del corpo esanime dell’Onorevole Moro, nella Renault 4 in Via Caetani il nove maggio 1978. Lo spettacolo, come in una sorta di dissolvenza, ci porta dentro i fatti veri, quelli che evaporano dagli atti delle indagini, dagli interrogatori, dai pedinamenti fino a farci capire che, forse, Moro doveva essere eliminato per un disegno criminale che posava su interessi internazionali. Pezzi di potere che hanno agito con apparente imprudenza o imperizia o per un disegno criminale studiato a tavolino; forse per ragioni di stato che ritenevano superiori ad ogni altra visione politica dell’Italia.
Ancora una volta Ulderico Pesce riesce, con la sua schiettezza narrativa, a raccontarci una storia che infiamma gli animi e ci fa amare la nostra terra, declinata dai confini nazionali ai nostri campanili, senza mai dimenticare il mondo contadino, protagonista con la sua sacralità come Raffaele Iozzino avrebbe voluto che fosse la Nazione. La parola chiave è “verità”, quella verità che l’Onorevole Moro diceva che “non bisogna dolersi di averla detta. Perché la verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”. Quella verità che servirebbe a noi ed alle nuove generazioni a capire che siamo ciò che eravamo ed abbiamo l’impegno di essere ciò che saremo.
Gianfranco Massaro – Agos
IL RUOLO DELL’ATTORE, INTERVISTA VIDEO A ULDERICO PESCE: